Quanto vale la nostra identità, seppur virtuale? Otto dollari al mese. Almeno secondo Elon Musk che dopo aver preso rocambolescamente possesso di Twitter ha deciso di rivoluzionare il social media. Licenziata dall'oggi al domani la metà dei dipendenti (a partire dai dirigenti), l'irrefrenabile tycoon è passato al funzionamento della piattaforma. Il primo obiettivo? Monetizzare. E se gli inserzionisti sono in fuga, spaventati dal nuovo corso, non resta che far pagare gli utenti.
In realtà una versione premium della piattaforma Twitter Blue - esiste già in Usa, Canada, Australia e Nuova Zelanda: con 4,99 dollari al mese è possibile avere una serie di funzioni aggiuntive, soprattutto nelle app mobili. Ma Musk ha deciso non solo di aumentare il prezzo a 7,99 dollari al mese, ma anche di permettere solo agli abbonati di ottenere la famigerata «spunta blu» che identifica i «profili verificati», finora gratuita per vip, attivisti, giornalisti e via dicendo. E non finisce qui: il magnate è pronto a snaturare il social persino eliminando quel limite di caratteri che l'ha reso famoso. «Presto Twitter aggiungerà la possibilità di allegare un testo lungo ai tweet, ponendo fine all'assurdità degli screenshot dal blocco note», ha annunciato nelle scorse ore. E ancora: «La ricerca mi ricorda Infoseek nel '98! Miglioreremo presto anche questa».
Invece di creare una piattaforma da zero come fece Donald Trump, sembra che abbia preferito acquistarne una per «sfruttarne» la base di iscritti (circa 1,3 miliardi di account, seppur molti non più attivi) e ridisegnarla a suo piacimento. Una scelta che non è piaciuta a tutti se è vero che oltre agli inserzionisti un'emorragia di utenti è già iniziata al grido dell'hashtag #TwitterMigration. La destinazione? Altre piattaforme di microblogging che in passato proprio a Twitter si sono ispirate. La preferita sembra essere Mastodon, un social nato nel 2016 basato su software open source (aperto quindi a eventuali modifiche da parte di sviluppatori esterni) e scelto lo scorso aprile dalla Ue per le sue comunicazioni ufficiali. Anche perché ha base in Europa, con tutte le tutele sulla privacy che ne consegue.
La non-profit creata dal tedesco Eugen Rochko non ha pubblicità, né profila gli iscritti: «Non ci sono annunci commerciali, la tua linea temporale non viene manipolata da algoritmi ma è in ordine cronologico. Non è progettato per attirare tutta la tua attenzione e venderla agli inserzionisti», proclamano da Mastodon. Inoltre si basa su una struttura «decentralizzata» (non costruita su un «cervellone centrale», ma formata da circa 12mila istanze indipendenti e collegate tra loro). Semplificando, la piattaforma è composta da una serie di sotto-social, ognuno con il proprio amministratore e il proprio codice di condotta: gli utenti possono decidere se far leggere i propri post solo nella propria istanza o allargare la visibilità anche agli iscritti di altri nodi.
Fondamentale anche il potere della community, chiamata a migliorare il codice del software, ma anche moderare e segnalare in prima persona i contenuti non conformi alle condizioni d'uso. Un po' come fa Wikipedia.
Così nei giorni scorsi in molti hanno deciso di iniziare a prender confidenza con Mastodon. Prova ne è che stando a quanto dichiarato dalla società il social libero conta già almeno 230mila persone in più. Certo, stiamo parlando di bruscolini rispetto a Twitter (circa 655mila utenti attivi contro i 330 milioni del concorrente).
E, come è capitato spesso in casi analoghi, è presto per parlar di vera e propria fuga: vi ricordate di Signal, l'alternativa «sicura» a WhatsApp e Telegram? Quanti di quelli che si sono iscritti spaventati dalle notizie sulla privacy nel gennaio 2021 possono dire di usarlo ancora?
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