La corrispondenza di un parlamentare dovrebbe essere inespugnabile, come un castello dalle mura altissime. Ma quel che è certo, almeno a leggere la Costituzione, non è poi così sicuro nell'interpretazione dei giudici. Per il gip di Genova va bene così: le mail e i whatsapp di Matteo Renzi (nel tondo) sono stati sequestrati senza violare le norme che tutelano i parlamentari. C'è sempre una spiegazione tecnica, una precisazione, un distinguo che rendono plausibile quel che sarebbe vietato; il gip di Genova chiude quindi a razzo il procedimento innescato dalla denuncia di Renzi che si riteneva vittima delle incursioni dei pm di Firenze nell'ambito dell'inchiesta Open.
Niente da fare. Nel giro di sei giorni, sì proprio sei, i pm di Genova hanno completato l'indagine, motivando la celerità con la priorità che dev'essere accordata ai fascicoli riguardanti le toghe, e hanno chiesto l'archiviazione. Ora il giudice dà loro ragione e torto a Renzi che replica facendo sfoggio di sarcasmo: «Oggi i giudici hanno detto che whatsapp non è né comunicazione né conversazione né corrispondenza L'estratto bancario non lo è. Le email non lo sono. Che cosa rimane? Il piccione viaggiatore? I segnali di fumo? Sull'alfabeto morse si può ragionare».
Lo scontro era scoppiato a causa dei cinque sequestri, annullati e sconfessati dalla Cassazione: per Renzi erano state calpestate le sue prerogative di parlamentare e l' articolo 68 della Costituzione che blocca le intercettazioni, «in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e il sequestro delle corrispondenza».
La domanda è: in qualsiasi forma vuol dire sempre, come sembrerebbe logico? No, risponde il gip che spedisce in cantina le lamentele di Renzi, accerchiato dai pm: «Per quanto concerne l'acquisizione dello scambio di corrispondenza via whatsapp del giugno 2018 fra il senatore Renzi e il dottor Vincenzo Manes, lo scambio di corrispondenza via whatsapp, intercorsa fra il 2017 e il 2019, fra il senatore Renzi e il dottor Marco Carrai, lo scambio di corrispondenza via email dell'agosto 2019 fra il senatore Renzi e il dottor Marco Carrai, non si tratta evidentemente di sequestro di corrispondenza effettuato direttamente nei confronti di Renzi».
Insomma, la regola generale vale ma può essere capovolta situazione per situazione. «Nel caso concreto - prosegue l'ordinanza - non si tratta nemmeno di comunicazioni o di corrispondenza, e comunque esse sono state captate in maniera indiretta, in quanto in primo luogo sono state acquisite presso persone che non rivestivano la qualità di parlamentare e pertanto non era necessaria l'autorizzazione del Senato». Non basta: «In secondo luogo si è trattato di perquisizioni e non di intercettazioni».
Dunque, non c'è stato alcun abuso d'ufficio. Anche se parole, frasi e pure l'estratto conto sono finiti sui giornali.
Per Renzi un'inchiesta ammaccata, con cinque sequestri conclusi con altrettanti flop, si è trasformata in una pesca a strascico della sua corrispondenza, sfruttando la sponda dei suoi interlocutori. Ma per i giudici di Genova, tempio delle toghe rosse e vetrina di Magistratura democratica, non è accaduto nulla e non c'è stato alcun vulnus. O, se c'è stato, è solo la conseguenza di comportamenti rimasti sui binari della legge.
Anche la «documentazione bancaria - aggiunge il giudice - non rientra nella nozione di corrispondenza, se non risulta (come nel caso concreto) che sia stata oggetto di spedizione al soggetto interessato».
Io - rilancia Renzi - non ce l'ho con Magistratura democratica, è Magistratura democratica che ce l'ha con me.
Se una corrente della magistratura dice che intorno a un avversario politico va stretto un cordone sanitario - come aveva scritto sulla rivista Questione giustizia Nello Rossi, a proposito dei rapporti fra l'ex premier e il principe ereditario saudita Bin Salman - siamo oltre il gioco democratico. Perché i magistrati non stringono cordoni sanitari, ma perseguono reati».
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