"Un'intesa tra Francia e Usa sarebbe positiva anche per noi"

L'economista: "Mettendo d'accordo Kkr e Vivendi l'Italia recupererebbe un ruolo nello scenario globale"

"Un'intesa tra Francia e Usa sarebbe positiva anche per noi"

Un'intesa tra il fondo americano Kkr e i francesi di Vivendi per il controllo di Tim potrebbe rappresentare una strategia win-win per il governo che si assicurerebbe così il necessario sostegno di due potenze nello scacchiere geopolitico globale. Ne è convinto Giulio Sapelli, economista di lungo corso ma soprattutto profondo conoscitore dei meccanismi della finanza italiana.

Professor Sapelli, nel suo ultimo libro «Draghi o il caos», scritto assieme a Lodovico Festa, ha affermato che Kkr è contiguo al milieu del premier. Dunque, la sua presenza non si può definire estranea o ostile.

«I fondi Usa sono presenti in Italia sin dal Ventennio quando Jp Morgan aiutò il regime ad affrontare con meno difficoltà la crisi del '29. L'Italia ha un rapporto consolidato con gli Usa, interrotto dalla guerra di Etiopia e ripreso nel Dopoguerra. Quindi Kkr non è qui perché ci sia Draghi a Palazzo Chigi. Casomai la mossa di Kkr è maturata dopo la visita di Biden a Roma e fa parte di varie escalation geopolitiche e casualmente avviene poco prima della firma del Trattato del Quirinale. C'è un complesso di situazioni del quale Draghi non è sicuramente il demiurgo».

Come lei ha sottolineato è difficile pensare che il governo potesse essere all'oscuro.

«Il governo, secondo me, cercherà un accordo tra Vivendi e Kkr perché dovrà tenere sia i rapporti con gli Usa che con la Francia, necessari in questa fase di crisi profondissima tedesca e nell'imminenza della sigla del Trattato. Anche perché Macron viene da un mondo come quello di Aristide Briand e Pierre Mendès France che non guarda agli Usa con ostilità. Forse così si riuscirà finalmente a dare una stabilizzazione a Tim».

L'accordo parte un po' in salita visto che Vivendi ritiene insufficiente l'offerta di Kkr.

«Sono i soliti giochi per mirare un po' al rialzo».

Tim è lo specchio di un Paese in crisi nel gestire le partecipate pubbliche ma anche nelle interrelazioni fra attori privati e pubblici?

«Siamo in una lunghissima fase di deflazione. Talmente lunga che siamo giunti a chiamare inflazione una crescita dei prezzi del 2%, mentre un tempo con tali valori ci si strappava i capelli perché i profitti scendevano e così pure i salari e i consumi. Una situazione tragica. Penso che gli americani abbiano tutto l'interesse a far uscire l'Europa dalla morsa trentennale della Germania che costrinse i partner europei a subire la deflazione. Gli Usa hanno necessità di farsi carico del mondo, i francesi sono l'ultima potenza talassocratica. Dopo la sberla che ci è stata data con l'uccisione di Gheddafi, bisogna capire che è un piccolo tassello per riacquisire una presenza internazionale».

Questi repentini cambi di management in Tim e in altre società sono uno specchio dell'instabilità politica, come ha scritto ieri Porro sul Giornale?

«Le imprese pubbliche sono gestite come le private e i manager pensano al proprio tornaconto, mentre in Francia essi servono in primis la Repubblica. Oggi i Mincato, i Gamberale, i Moscato non ci sono più e i dirigenti sono mercenari. Anche i mercenari hanno fatto la storia ma bisogna essere all'altezza di Cangrande della Scala o di Eugenio di Savoia...».

Tim è solo un simbolo della debolezza strutturale del capitalismo italiano?

«La situazione di Tim nasce dall'indebitamento causato dall'Opa del 1999 e dalla gestione negativa di Pirelli.

E poi, se lo Stato è proprietario della rete, che senso aveva fondare Open Fiber? Ora l'importante è difendere Sparkle che controlla le reti transoceaniche che sono un asset strategico per il quale il golden power si può applicare. Tim non può essere presa come paradigma, perché è una delle peggiori privatizzazioni effettuate nel mondo. Le privatizzazioni alla Prodi sono casi di scuola come quelle di Eltsin o di Meném. Il peggio del peggio».

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