Usa via dall'Afghanistan. Lascia il generale Mattis. Ed è paralisi sul bilancio

Washington vuole dimezzare le forze a Kabul Lo spettro di «shutdown» non spaventa Trump

Usa via dall'Afghanistan. Lascia il generale Mattis. Ed è paralisi sul bilancio

«Gli Stati Uniti non vogliono essere i poliziotti del Medio Oriente». E quindi via le truppe dalla Siria e via anche dall'Afghanistan. Donald Trump sfila Washington dal ruolo internazionale avuto finora e annuncia ciò che ha sempre detto di voler fare: diminuire la presenza militare statunitense all'estero. Il tempismo, però, lascia tutti di sasso. A partire dal segretario della Difesa Jim Mattis, che nella notte di ieri ha comunicato che a febbraio lascerà l'incarico a qualcuno «più in sintonia» con l'inquilino della Casa Bianca.

È una fonte anonima dell'amministrazione Usa a spiegare che martedì Trump avrebbe deciso il rientro non solo dei 2mila militari attualmente dispiegati in Siria, ma anche quelli in Afghanistan. Quattordicimila soldati - sono stati incrementati l'anno scorso di 4mila unità proprio per volere di Mattis - impegnati per metà nell'addestramento delle forze afghane e per metà in operazioni antiterrorismo contro Isis e Al Qaida. Secondo il Wall Street Journal per ora Trump vorrebbe dimezzarne i numeri, riportando in patria 7mila uomini già nelle prossime settimane e arrivando ai livelli pre-2002. Secondo altri media l'obiettivo sarebbe invece azzerare del tutto la presenza americana nel Paese. Che è ben lontano dalla stabilizzazione: secondo l'Onu la prima metà del 2018 è stato il semestre più sanguinoso dall'inizio della guerra nel 2001, con 1.692 civili uccisi e con i talebani che non hanno mai controllato così tanta porzione di territorio. Dalla fine del 2014, quando il Pentagono ha smesso di combattere, sono morti 25mila tra poliziotti e soldati afghani. Nel Paese, oggi, sono presenti anche 8mila truppe Nato, anche loro impegnate nella formazione delle forze locali: ieri la portavoce Oana Lungescu, pur senza commentare la scelta del presidente Usa, ha ricordato che i ministri degli Esteri dei Paesi Nato hanno appena confermato «un fermo impegno a garantire sicurezza e stabilità a lungo termine in Afghanistan». Kabul ha rassicurato: «Il ritiro di qualche migliaio di soldati non avrà ripercussioni sulla sicurezza», ha detto un portavoce del presidente afghano Ashraf Ghani.

La strategia, dunque, è la stessa annunciata per la Siria, dove è stata giustificata con l'«avvenuta sconfitta» dello Stato islamico. Una mossa che però lascia libertà di manovra al trio Russia-Iran-Turchia, con quest'ultima che ha già annunciato che si farà carico delle «operazioni di pulizia» del nord-est siriano, per liberarlo «sia da ciò che rimane dell'Isis sia dalle milizie curde», finora alleate dei 2mila militari statunitensi di stanza in Siria. Per sfuggire alla persecuzione di Ankara, che li ritiene terroristi, ieri i curdi hanno chiesto l'aiuto della Francia.

Siria e Afghanistan, così come l'invio di soldati al confine con il Messico, sono solo gli ultimi punti di attrito tra Mattis, un tempo il più ascoltato consigliere militare di Trump, e quest'ultimo. «Cane pazzo» - questo il suo soprannome quando era nei marine - lascerà il 28 febbraio, dopo poco più di due anni al Pentagono. Con lui si allunga la lista dei ministri e collaboratori licenziati o dimessi: secondo il think tank «Brookings Institution» si tratta del tasso di ricambio più alto degli ultimi 5 presidenti.

E Mattis non è l'unica grana interna per Trump. È ancora aperta la battaglia sulla legge di bilancio, con la Casa Bianca che vuole 5 miliardi per la costruzione del muro con il Messico e i Democratici contrari. Il progetto di legge che contiene la cifra chiesta da Trump è stato approvato dalla Camera, ma al Senato, dove è approdato nella notte italiana, verrà quasi sicuramente affossato.

Con il rischio che oggi gli Usa si sveglino con uno shutdown in corso, cioè con il blocco delle attività governative non essenziali che scatta quando il Congresso non riesce ad approvare la finanziaria. Trump non molla: se non gli daranno i soldi per il muro «affronteremo uno shutdown molto lungo».

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