
Dalla chiesa di Santa Getrude in Ohio, dove ha ricevuto battesimo e cresima nell'estate 2019, alle stanze del Vaticano. Il repubblicano JD Vance, diventato nel frattempo vicepresidente degli Stati Uniti, è stato ricevuto ieri dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, accompagnato dall'arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali. Bimba in braccio, sorrisi; poi due ore di confronto. Faccia a faccia. Punto su punto.
Non pochi i temi di comune interesse per cui l'udienza era considerata strategica dal suo entourage: a tre secoli e più dalla sua fondazione, la Pontificia Accademia Ecclesiastica di cui Parolin è Protettore, appena riformata, continua a plasmare diplomatici che sono l'occhio vigile del Papa sul mondo, in uno spirito che non conosce confini e sempre più al servizio della pace. Nelle dichiarazioni pubbliche, l'amministrazione Trump II ha lo stesso obiettivo. Ma con linguaggi, uomini e approcci ben diversi. Ieri, focus su Ucraina, Medio Oriente, Gaza. E scambi di vedute tra il cardinale diplomatico e il braccio destro di The Donald pure sulla libertà religiosa e sui migranti; dossier, questo, su cui resta una certa distanza tra Casa Bianca e Santa Sede.
Arrivato a Roma nel Venerdì Santo assieme alla moglie Usha e i loro tre figli, Vance, il «baby cattolico» dalle molte cose da imparare, come si è definito in un discorso non lontano nel tempo per farsi «assolvere» da quella sorta di disputa teologica ingaggiata col Pontefice per difendere le politiche del Trump II sull'immigrazione, ha scelto ieri di affrontare questo punto senza proclami pubblici. Più ascolto che asserzione. Posizioni sfumate inevitabili. Dialogo. La Sala Stampa della Santa Sede riferisce che nel «cordiale colloquio» Parolin-Vance è stato espresso «compiacimento per le buone relazioni bilaterali» tra Vaticano e Stati Uniti; rinnovato il «comune impegno nel proteggere il diritto alla libertà religiosa e di coscienza». Nonostante Vance abbia espresso in passato la pretesa di integrare il cattolicesimo nel suo pensiero politico, con riferimenti alla dottrina sociale della Chiesa, i piani di espulsioni di massa restano, come la sospensione dei programmi dell'Agenzia per lo sviluppo UsAid che finanziava circa il 40% dell'aiuto umanitario globale. Salvo ripensamenti, saranno assorbiti dal Dipartimento di Stato. Si vedrà se il confronto di ieri porterà a retromarce. Non è infatti da escludere che lo «scambio di opinioni» sui Paesi segnati dalla guerra, da tensioni politiche e difficili situazioni umanitarie, «con particolare attenzione ai migranti, ai rifugiati, ai prigionieri», di cui dà conto la Sala Stampa della Santa Sede, avrà effetti tornato negli Usa. L'udienza si è chiusa con gli auspici di «serena collaborazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica negli Stati Uniti, di cui è stato riconosciuto il prezioso servizio alle persone più vulnerabili».
Messaggi chiari, rispetto alla convinzione espressa da Vance a Fox News a febbraio: «Dovremmo amare prima la nostra famiglia, poi i nostri vicini, poi la nostra comunità, poi il nostro paese e solo dopo considerare gli interessi del resto del mondo». Tra fede e politica, dopo l'udienza e la visita al Palazzo Apostolico, tappa al centro di Roma con 30 veicoli.
Poi al Colosseo, chiuso in anticipo tra le polemiche dei turisti a cui viene spiegato che avranno il rimborso del biglietto, ma allontanati per permettere la visita privata a Vance e famiglia (entrerà solo la moglie Usha). Alcuni tentano di scavalcare le transenne gridando «vergogna!», «è uno scandalo!», «Vance, vattene!». Il vice di Trump è a Roma anche oggi.
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