"Vediamo la pagliuzza negli occhi della Russia, non la trave nei nostri"

Per l'ex ambasciatore a Mosca, l'Occidente responsabile della nuova "guerra fredda"

"Vediamo la pagliuzza negli occhi della Russia, non la trave nei nostri"

Pubblichiamo questa intervista del direttore Francesco Cancellato per gentile concessione del sito Linkiesta.it

«Non è la Russia che ha paura di una guerra con l'Occidente. Semmai è il contrario: siamo noi ad avere una paura irrazionale della Russia». Sergio Romano non usa mezzi termini nel leggere le crescenti tensioni tra l'Occidente e Mosca, che hanno spinto molti commentatori a parlare di nuova guerra fredda. Secondo l'ex ambasciatore italiano in Unione Sovietica e alla Nato, le vicende degli ultimi mesi partono da molto lontano: dall'allargamento della Nato ai Paesi che facevano parte del Patto di Varsavia, alla strategia di difesa missilistica attuata da George W. Bush, alle cosiddette rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina, sino alla guerra in Siria. Una storia, questa, in cui si legge in filigrana la «russofobia che è insita nella nostra cultura», attraverso cui «vediamo solo la pagliuzza negli occhi di Putin, mentre continuiamo a non vedere la trave in quella dell'Occidente».

Lei dice che bisogna partire da lontano, ambasciatore

«La storia comincia parecchi anni fa. E per comprenderla fino in fondo bisogna provare a mettersi nei panni altrui e rendersi conto dello stato d'animo e della psicologia dell'avversario».

A cosa si riferisce?

«A tante cose. Ad esempio non dovremmo dimenticare come la Russia abbia vissuto l'allargamento della Nato ai Paesi che facevano parte del Patto di Varsavia e addirittura alle repubbliche baltiche che facevano parte dell'ex Unione Sovietica».

Come l'ha vissuto?

«Come un atto ostile, una potenziale minaccia. Del resto, aprendo la Nato a questi Paesi, che hanno vissuto con l'Armata Rossa in casa e che di Mosca hanno paura, ci siamo portati in casa la maggiore lobby antirussa. Peraltro, chi entra nella Nato, non entra in una qualsiasi alleanza. Entra in un alleanza fatta per combattere, con basi permanenti, un quartier generale, un comandante in capo, un presunto potenziale nemico. Un'organizzazione che ha minuziosamente predisposto un sistema di assistenza reciproca che gli Stati devono darsi. Difficile leggere questo allargamento in un'ottica che non sia ostile alla Russia».

Che il Cremlino lo pensi ci sta. Ma era davvero così?

«In parte. Alla base ci sono anche ragioni economiche. Consideri che chi entra nella Nato diventa automaticamente un cliente dell'industria bellica americana. Tuttavia concorrono a rafforzare questo timore anche altri eventi che non è facile interpretare altrimenti».

Ad esempio?

«Quando Bush denunciò l'accordo del 1972 sulle basi anti-missilistiche».

Si spieghi

«Durante la Guerra Fredda, Usa e Urss si accordarono per non avere più di una base anti-missilistica sui loro rispettivi territori. Questo voleva dire che dopo il primo attacco, entrambi i Paesi sarebbero stati vulnerabili e la vulnerabilità era una garanzia di pace. Bush lo denunciò nell'anno della sua scadenza e dichiarò di non poterlo rinnovare perché gli Stati Uniti dovevano difendersi dagli Stati canaglia mediorientali. Il problema è che le nuove basi anti-missilistiche americane, dalla Polonia alla Repubblica Ceca e alla Romania, avrebbero circondato la Russia, non l'Iran o l'Iraq. Se lei fosse stato russo come avrebbe interpretato questa strategia difensiva?»

In chiave anti-russa?

«Mi pare evidente. Così com'è evidente che le rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina siano siate viste con simpatia e favore dall'Occidente. Quando nel 2008 il governo georgiano decise di invadere l'Ossezia del sud, c'era sul territorio georgiano un contingente americano di 800 addestratori. Non credo che i soldati americani ignorassero quello che stava per accadere».

Sta dicendo che anche Obama, quindi, ha mantenuto la strategia anti-russa del suo predecessore

«Obama dette prova di una certa sensibilità. Nel 2009, a Ginevra, Hillary Clinton, allora segretario di Stato americano donò al ministro degli esteri russo Sergei Lavrov un pulsante rosso con la scritta reset. Il messaggio era chiaro: c'era la volontà americana di rendere la situazione meno tesa, di ricercare un dialogo».

Nel 2014 però c'è stata la crisi ucraina e l'invasione russa della Crimea

«Anche in quel caso, però, bisogna tenere conto di altri fattori. Ad esempio, non bisognerebbe dimenticare l'intesa raggiunta col presidente filorusso Yanukovich, che aveva accettato di indire nuove elezioni. L'accordo era stato certificato dai quattro ministri degli esteri di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito. Solo che la notte seguente a quell'accordo c'è stato il colpo di Stato in Ucraina che ha destituito Yanukovich. È stato quell'evento a far precipitare la situazione. Un atto che, a torto o ragione, Mosca ha interpretato come ostile ed eterodiretto dagli Stati Uniti. Così come del resto, il sostegno offerto ai ribelli siriani contro Assad».

Arriviamo alle ultime ore, al rafforzamento russo delle difese missilistiche sul Baltico, alla richiesta di nuove sanzioni contro Mosca da parte di Angela Merkel, ai giornali che dicono che siamo a un passo da un conflitto vero e proprio tra Occidente e Russia.

«A me risulta che le esercitazioni di quattro battaglioni in Lettonia, Lituania e Polonia le abbia fatte la Nato, la scorsa estate. Se lei fosse dall'altra parte del confine, probabilmente dovrebbe prendere in considerazione l'ipotesi di un conflitto».

Nel frattempo Putin distribuisce carezze al candidato repubblicano Donald Trump. Quanto incide nei rapporti tra i due Paesi questa ingerenza russa sulle elezioni presidenziali americane?

«Sinceramente, faccio fatica ad attribuire a Trump delle strategie serie. Quando la Clinton parla capisco che cosa pensa, giusto o sbagliato che sia. Quando parla Trump, no.

Non so nemmeno a che cosa attribuire queste professioni di amicizia per Putin. Però le frasi di Putin sono un dato di fatto. E questo getta più di un'ombra sul presidente russo. Piaccia o meno, lui è un uomo di Stato. Associando la sua figura a quella di Trump commette un grave errore».

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