Velo, baci e la Nazionale. L'Iran contro l'Occidente "Vuole la guerra civile"

Ennesima notte di scontri. Regime accusato dell'omicidio del piccolo Kian di 10 anni

Velo, baci e la Nazionale. L'Iran contro l'Occidente "Vuole la guerra civile"

Le proteste in Iran scatenate dalla morte di Mahsa Amini, arrestata e uccisa perché non portava il velo in modo corretto, sono entrate nel terzo mese e si sono intensificate negli ultimi giorni in occasione della commemorazione del «Novembre di Sangue» del 2019, innescato allora dall'aumento del prezzo del carburante. Anche in quell'occasione centinaia di persone morirono nella repressione delle manifestazioni.

I tre giorni di proteste e scioperi indetti in Iran si sono conclusi con un drammatico bilancio: oltre 20 persone uccise. Ed è ancora «Donna, vita, libertà» a risuonare in molte città del Paese.

A Teheran, Gorgan, Sanandaj o Isfahan, dove i manifestanti hanno danzato intorno ai falò. A Izeh invece si è consumata l'ennesima tragedia: l'uccisione di Kian Pirflek, 10 anni. L'evento sta alimentando lo sdegno e la rabbia collettiva per la brutalità del regime. Un membro della famiglia di Kian ha accusato le forze di sicurezza di essere dietro la sparatoria: «Stava tornando a casa con suo padre ed è stato preso di mira con proiettili dal regime corrotto della Repubblica islamica». In un altro incidente, a Shiraz, due aggressori in motocicletta hanno ucciso altrettanti membri delle forze paramilitari Basiji e ne hanno feriti altri due.

Intanto, mentre proseguono i raid delle forze di sicurezza nelle università - centri nevralgici delle proteste - l'Ong per i diritti dei curdi Hengaw ha accusato le forze di sicurezza di aver ucciso almeno altre 10 persone solo nella giornata di mercoledì nel corso delle manifestazioni a Bukan, Kamyaran, Sanandaj e a Saqez, nella città natale di Mahsa. Mentre sarebbero almeno 342 le persone rimaste uccise complessivamente nelle proteste per mano delle forze di sicurezza, secondo l'ong Iran Human Rights con sede a Oslo.

Sono migliaia gli arresti da settembre a oggi, riferisce la ong. E alcuni detenuti rischiano pure di essere condannati a morte per reati connessi alla sicurezza come già accaduto per cinque di loro. Su Twitter il ministro degli esteri, Hossein Amir-Abdollahian si è fatto sentire con parole di fuoco: «I servizi di sicurezza, il regime fantoccio israeliano e i politici occidentali che hanno elaborato piani per una guerra civile, la distruzione e la disintegrazione dell'Iran, devono sapere che l'Iran non è la Libia o il Sudan».

Poi è arrivato il commento del presidente iraniano Ebrahim Raisi: «L'Iran sta affrontando una guerra mediatica che punta a modificare la percezione dei problemi da parte del pubblico ingigantendo i punti deboli del Paese». E ha sottolineato che, a partire dal Corano, coloro che diffondono bugie sono ritenuti «infedeli» e «ipocriti».

Nel frattempo i giocatori dell'Iran al Mondiale in Qatar stanno discutendo tra loro se cantare o meno l'inno nazionale come gesto di protesta contro la repressione delle proteste nel loro Paese. Lo ha rivelato il capitano, Alireza Jahanbakhsh, rispondendo a una domanda in conferenza stampa. La questione, ha detto «è in » discussione «e la decisione sarà presa collettivamente».

L'Iran esordirà infatti lunedì contro l'Inghilterra. Poi il capitano ha aggiunto: «Astenersi dal festeggiare i gol alla Coppa del Mondo in sostegno delle proteste in Iran sarà una decisione personale dei giocatori».

E ancora:

«Siamo concentrati a giocare a calcio. Fin da piccolo sognavo di giocare in Nazionale e lo stesso vale per il resto del gruppo. Siamo qui per rispettare la maglia e la nostra nazionale, per portare gioia al popolo iraniano».

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