Si è accorto che i tempi della giustizia non sono sincronizzati su quelli della vita. Aspettare sì, sacrificare l'esistenza anche no. E allora Nichi Vendola rompe il silenzio e comunica la decisione di rientrare dall'esilio. «A differenza degli anni passati - scrive su Facebook l'ex governatore della Puglia - non rinuncerò a parlare delle cose che mi stanno più a cuore».
La stagione del silenzio è finita, anche perché Vendola, attendendo il verdetto definitivo, rischierebbe di condannarsi da solo a un tacere senza prescrizione. Qualcosa del genere era successo a Giulio Andreotti, imputato modello, ma sulla graticola della giustizia per un periodo lunghissimo, così da finire fuori gioco.
Vendola ha atteso otto anni, un'eternità, ma alla fine la sentenza di primo grado è una condanna a tre anni e mezzo per concussione aggravata. Qualcosa non funziona, e l'ex governatore se n'è reso conto. Basta con un'ossequiosa sudditanza al metronomo della magistratura, avanti con le critiche e la passione di sempre, messa in freezer per rispetto alle toghe. Il nuovo Vendola mette i puntini sulle i: «Penso che la guerra dei trent'anni fra potere politico e potere giudiziario abbia fatto male alla nostra democrazia, diventando l'alibi che ha di fatto impedito una seria riforma della politica e della giustizia». Ci vuole un passo indietro da tutte e due le parti, pare di capire. Altrimenti, non se ne esce.
Resta un bilancio personale assai modesto: «Io sono stato in disparte, perché l'unica ricchezza che ho cumulato nella mia vita è la reputazione». Il finale non è però quello sperato: «Io attendevo dalla corte di Taranto, dopo 8 anni di processo, di essere restituito a questa storia e all'assoluta correttezza delle mie azioni. Così non è stato. Aspetterò l'esito dell'appello con la stessa convinzione». Per la cronaca, il pm aveva chiesto per Vendola 5 anni, i giudici hanno abbassato l'asticella ma ritenuto provate le pressioni sull'ex direttore generale dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale, l'Arpa.
Insomma, il tempo non ha aiutato finora l'imputato eccellente che non rinuncia più a lanciare frecciate in diverse direzioni: «Penso che il trasferimento dei processi dai tribunali ai talk show e la conseguente pressione mediatica nuocciano alla giustizia».
Insomma, Vendola si riprende il palcoscenico: «Se pure dai margini della scena vorrei continuare a offrire un punto di vista che deriva da un'inesausta passione politica che è passione per la vita e il vivente, passione per il mondo e per i diritti».
Insomma, la giustizia è da riformare, anche se le responsabilità sono da cercare anche dall'altra parte, ma quel che più colpisce è il dramma inatteso: «In questi anni ho scelto di difendermi nel processo e non dal processo, rinunciando anche a reagire alla campagna politico-mediatica che si è svolta parallelamente allo stesso». Ma non è cambiato nulla e lo stillicidio va avanti.
Uno spartito che purtroppo si è visto tante altre volte: manette e avvisi di garanzia, carriere finite
in naftalina e su un binario morto, poi spesso una successiva riabilitazione, a smentire i verdetti precedenti. Anche l'ex governatore dovrà armarsi di pazienza: alla lotteria della giustizia è difficile fare previsioni.
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