Che la scuola italiana non stia tanto bene, ce lo dice la presidente del Consiglio Giorgia Meloni al Vinitaly di Verona, incontrando un gruppo di studenti di un istituto agrario e proponendo l'istituzione di un liceo del made in Italy. Di cosa si tratti, lo sintetizza chiaramente la presidente: «Un liceo per valorizzare percorsi che spieghino il legame che esiste tra la nostra cultura, i territori e la nostra identità». Dopo il Sessantotto era prevalsa un'ideologica visione della scuola che demonizzava la formazione professionale, come fosse espressione della peggiore istruzione classista: i poveri alle professionali; i ricchi ai licei. Questa visione ha comportato la mortificazione di tante scuole dove i ragazzi apprendevano la bellezza culturale dell'artigianato proprio in una società industriale avanzata.
Gli istituti tecnico-professionali dovrebbero affiancarsi ai licei nel collaborare alla formazione dei nostri figli che, grazie al Padreterno, sono tra loro differenti, con talenti diversi, con attitudini e sogni diversi. I licei per tradizione dovrebbero dare un'istruzione olistica, slegata da esigenze professionali per privilegiare la formazione della persona. Spiegate in modo così sintetico le differenze tra liceo e istituto tecnico-professionale, può sembrare che questi due tipi di scuola appartengano a due mondi dell'istruzione diversi. Non dovrebbe essere così (si veda l'introduzione recente delle cosiddette ore scuola-lavoro), invece è proprio così. La proposta di un liceo del made in Italy potrebbe rappresentare una sintesi tra l'istruzione liceale e quella tecnica professionale. Infatti, la presidente parla di liceo, non di istituto, e di made in Italy, espressione che non rimanda alla tradizionale formazione olistica del liceo, bensì all'apprendimento di conoscenze locali, appunto quelle che consentono la lavorazione artigianale dei nostri prodotti tipici. Nelle intenzioni, il progetto di questa scuola è lodevole e tanto ambizioso quanto costoso. Gli insegnanti vanno formati e preparati bene: non si può dire a un professore dei tecnici di andare insegnare in un liceo, e, ovviamente, viceversa. La programmazione tra studio e sbocco professionale deve essere ferrea: non ci può essere un ragazzo impegnato nello studio della coltivazione dell'olivo e finire a fare l'artigiano del ferro.
Poi è fondamentale avviare un confronto con ciò che, di analogo, si fa negli altri Paesi del mondo: dunque borse di studio, stage, scambi tra docenti e studenti. Problemi preliminari essenziali per evitare di costruire un altro dei molti sistemi formativi illusori e frustranti, di cui noi, e i nostri figli, non abbiamo alcun bisogno.
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