Da una parte Gaspare Sturzo, giudice con la passione e il Dna della politica, pronipote del fondatore del Partito popolare. Dall'altra Denis Verdini, imprenditore, banchiere, politico. Le strade dei due si incrociarono quasi due anni fa, quando Sturzo, giudice preliminare a Roma, rifiutò di archiviare l'inchiesta su Verdini (e su Tiziano Renzi, padre di Matteo) costringendo la Procura a un supplemento di indagine, sfociato tre mesi fa in una richiesta di processo. Ma ora si scopre che Sturzo e Verdini otto anni prima erano entrati in rotta di collisione per tutt'altra faccenda: perché il primo puntava a fare il candidato del centrodestra alla presidenza della Sicilia. E il secondo, potente colonnello di Forza Italia, stoppò la nomination.
Certo, sarebbe inverosimile - nonostante la proverbiale lunghezza della memoria dei siciliani - ipotizzare che a otto anni dalla mancata candidatura il giudice Sturzo si sia preso la soddisfazione di mandare Verdini a processo per motivi personali. Ma è inevitabile chiedersi, visto il precedente, se Sturzo non avrebbe fatto meglio ad astenersi quando proprio sul suo tavolo approdò la richiesta di archiviazione dell'indagine in cui comparivano Verdini e Renzi senior, filone laterale dell'affare Consip. A chiederselo è anche la Procura di Perugia, competente per i reati commessi dai colleghi romani, che sulla mancata astensione di Sturzo ha aperto una indagine, interrogando Verdini e Gianni Letta, che della candidatura del magistrato in Sicilia era stato uno degli sponsor. Ipotesi di reato (per ora non formalizzata): abuso d'ufficio.
Fin da ora, però, un dato è certo: nei mesi precedenti alla sua decisione di portare Verdini e Renzi sul banco degli imputati contro il parere della Procura di Roma, Sturzo cercò di fare carriera, indicando proprio il ruolo svolto come gip a Roma tra i suoi titoli di merito. A chi si rivolse Sturzo? A Luca Palamara, ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, e leader della sua corrente, Unicost.
A raccontarlo sono le chat estratte dalla Guardia di finanza dal telefono di Palamara, che documentano l'intenso pressing di Sturzo sul potente collega tra il maggio e il luglio 2018, con ripetute inviti e richieste di incontri. L'obiettivo di Sturzo è un posto alla Procura generale della Cassazione. Il 26 luglio alle 16.03 scrive a Palamara segnalando che un suo collega di corso ha già avuto il posto cui aspirava, e chiede lumi sulla sorte della sua domanda. Meno di due ore dopo, un secondo messaggio, assai più lungo, in cui rivendica tutti i propri meriti: come la cattura in Sicilia del vice di Provenzano, Benedetto Spera. E poi: «dei procedimenti romani come Gip e come Gup non occorre parlarne perché sono noti al CSM PER LA RILEVANZA». Tutto maiuscolo. Il riferimento al caso Consip è palese, perché è di gran lunga il più importante tra i fascicoli seguiti da Sturzo come giudice preliminare.
E non è tutto: Sturzo se la prende con Maurizio De Lucia, procuratore della Repubblica a Messina, che ha fatto carriera grazie alle indagini fatte insieme a lui in Sicilia: «Ma le carte le facevo tutte io». De Lucia è un fedelissimo di Giuseppe Pignatone, allora procuratore a Roma. Io non sto con Pignatone, manda a dire tra le righe Sturzo. Ma ho diritto anche io di fare carriera.
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