Il "viceré" del cappotto lascia di nuovo Forza Italia

Ennesimo addio agli azzurri di Miccichè: "Trattato come un appestato". Passa all'Mpa di Lombardo

Il "viceré" del cappotto lascia di nuovo Forza Italia
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La notte del 13 maggio 2001 Gianfranco Miccichè riceve una telefonata (attesa): «Dimmi solo quale ministero devo togliere dalla lista». Dall'altra parte della cornetta, c'è Silvio Berlusconi, che si avvia per la seconda volta a Palazzo Chigi, dopo aver strapazzato alle elezioni politiche il candidato dell'Ulivo Francesco Rutelli. La Sicilia è determinate in quel successo con il famoso 61 a 0.

Il regista del capolavoro è Miccichè, capace di regalare al centrodestra la vittoria in tutti i 61 collegi (41 Camera e 20 al Senato) uninominali. Un'impresa che resterà negli archivi elettorali. Miccichè dirà: «Non amo essere una prima donna, presidente accontenti qualcun altro». Nel Berlusconi II il politico di Palermo entrerà ma con l'incarico di viceministro dell'Economia. Da ieri tra Forza Italia e Miccichè è ufficiale il divorzio. Il terzo (per la precisione) dal '94 ad oggi. Un addio con polemiche: «Se in ospedale mi tirano il sangue, esce azzurro non rosso ma così onestamente non si può andare avanti. Mi hanno trattato come un appestato...» si sfoga l'ormai ex azzurro. Che però auspica: «Spero che questa iniziativa possa essere uno stimolo. Vedo una corsa a superare la Meloni a destra. Marina e Piersilvio hanno preso posizione sui diritti civili e non credo che l'abbiano fatto perché vogliono scendere in politica, ma perché hanno detto quello che pensava e voleva il padre. Se Berlusconi fosse ancora vivo, sarebbe il primo ad essere d'accordo con me. L'Mpa di Raffaele Lombardo è la scelta più coerente».

L'ex numero uno dell'Ars è un berlusconiano della prima ora. Dal '94 al fianco del Cavaliere. Amico di Marcello Dell'Utri muove i primi passi in Publitalia nel 1984 di cui diventerà direttore delle sedi di Palermo e Brescia. Una carriera politica fatta di successi, strappi e intemperanze. Il viceré della Sicilia occupa tutte le poltrone: cinque volte deputato, senatore, europarlamentare, viceministro, sottosegretario, ministro e presidente dell'Assise regionale. Sul curriculum manca una sola casella: presidente della Regione Sicilia. Ci proverà (senza riuscirci) nel 2012: sarà flop. Con Forza Italia è amore a prima vista. Un amore, però, tormentato. Già tre volte le strade di Miccichè e degli azzurri si sono separate per poi riunirsi. I due precedenti strappi risalgono al 2010 e al 2012 quando il politico siciliano fonderà Grande Sud. E c'è chi in Sicilia scommette: «Sarà così anche stavolta». Nel '94 entra nel primo governo Berlusconi con l'incarico di sottosegretario ai Trasporti. La poltrona di ministro la conquisterà solo nel 2005 con la delega alla Coesione territoriale. Alle politiche del 2022 il suo record: sarà eletto nello stesso giorno senatore e consigliere regionale. Micicchè lascerà lo scranno a Palazzo Madama per restare in Sicilia. Le prime pagine dei giornali se le guadagna anche nel 2009 quando fonda il Pdl Sicilia (con l'appoggio di Fini) sfidando Berlusconi. Dopo ogni strappo c'è la riappacificazione. Miccichè è così. Il vicerè è il politico che tutti i cronisti politici sognano. Fa titolo da solo. Del ministro Nello Musumeci dirà: «È un fascista». Salvo poi (dopo intervento di Ignazio La Russa) disconoscere l'intervista a La Stampa. Il no di Miccichè sarà decisivo nel siluramento di Musumeci per la ricandidatura a governatore. «Prima li elegge poi li butta a mare», dicono i suoi amici. È accaduto con Cuffaro e Musumeci. Ora tocca a Schifani.

Negli anni del Pdl sarà spietato contro Angelino Alfano: «L'ho inventato, non era nessuno». Lungo il cammino, Miccichè subisce un'infatuazione per Matteo Renzi di cui svelerà: «Era pronto a votare Berlusconi presidente della Repubblica». Prima la bomba, poi la smentita. Come nel «copione Miccichè».

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