Professor Giulio Tremonti, cosa sta accadendo?
"Homo homini virus": è questa l'ipermoderna variante dell’antico “homo homini lupus”. La “mascherina”: non si sa quanto durerà l’obbligo legale di portarla o quanto sarà forte l’istinto di usarla. In ogni caso la “mascherina” è l’odierno simbolo del salto d’epoca che stiamo vedendo e vivendo. Una variante rispetto alla normalità che fa leva sulla coppia contemporanea della natura che è tornata con il virus e della paura che ne deriva. Una dimensione che ci rende alieni a noi stessi e agli altri. Nel mondo di Hobbes, nel mondo dei lupi, l’uomo si unisce agli altri per reciproco timore. Oggi, sempre per paura, è l’opposto: non ci si unisce, ma ci si aliena dagli altri e da se stessi. E tutto questo, finché dura, indica più di ogni altro indicatore statistico ed economico la rottura che si è creata nel meccano, prima automatico e positivo, della globalizzazione.
Lo scorso marzo, sul Financial Times, è apparso un articolo in cui si sosteneva che “la pandemia di coronavirus rappresenta una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche”. È davvero così?
Certamente è una tragedia, e certamente una tragedia umana, ma come tale – pur tragica – di dimensioni non bibliche. Di biblico c’è semmai altro: la pandemia ha causato - e causa – una cascata di fenomeni vastissimi sul piano sociale, economico, politico e geopolitico. Se proprio si vuole fare riferimento alle Scritture, possiamo notare che queste sono un enorme e profondo magazzino di leggende e di miti: il paradiso perduto, il diluvio universale, ma soprattutto, guardando a quello che succede dentro la globalizzazione, nella Genesi c’è la Torre di Babele: “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole”. Non dice nulla proprio questo a proposito del “pensiero unico” e, di riflesso, a proposito della lingua unica, tutto questo la quintessenza della globalizzazione integrale, come è stata fino alla pandemia? La globalizzazione è il mito dell’uomo che si fabbrica il cielo in terra e con questo, elevando la torre verso il cielo, sfida Dio. Proprio quello della torre di Babele è il mito che, attualizzato, ha più rapporto con la crisi della globalizzazione integrale. Ad un certo punto, però, il sogno di fabbricare il cielo in terra finisce, il Signore scende e, togliendo la lingua unica, sostituita con la confusione delle lingue di Babele, interrompe l’utopia globale.
Qual è l’alternativa a questo tipo di globalizzazione?
Per come vedo e sento, il mondo che verrà sarà piuttosto che globale come nell’utopia, inter-nazionale. Un mondo che non esclude i rapporti con gli Stati, ma che ne fa vivere la dimensione nazionale e, con questo, lasciando alle persone la dimensione individuale e spirituale, come è stato fino alla fine di quest’ultimo secolo.
Se da una parte è vero che c’è grande confusione in tutto il mondo, dall’altra è altrettanto vero che il caos regna sovrano soprattutto in Italia…
Nel nostro Paese è la somma che non fa il totale, o piuttosto è la somma delle cose negative che supera il totale. È evidente che qualcosa manca nella dimensione civile e politica del nostro Paese.
Molti hanno paragonato l’attuale situazione a quella del Dopoguerra. È davvero così?
Oggi non è forse più di moda considerare la storia come “magistra vitae”. Si tende a dimenticare che, nel nostro dopoguerra, Togliatti è stato vicepresidente del Consiglio e ministro della Giustizia, Einaudi vicepresidente del Consiglio e ministro del Bilancio e con loro tanti altri, a partire da Nenni. A quell’altezza di tempo il “luogo” politico per eccellenza era il governo e non altro. Guerra per guerra, leggiamo Five days in London, il libro sui cinque giorni che hanno cambiato il corso della storia. È Churchill che chiama nel governo i laburisti di Attlee. Sono queste memorie e storie arcaiche? In Germania, quando, ai primi dello scorso decennio, sono emersi gli enormi costi economici e sociali derivanti dall’unificazione successiva alla fine della Guerra fredda, per superarli si è fatta la Grande coalizione, ovvero un governo fatto insieme da popolari e socialisti. Un governo che non c’è ancora.
Zingaretti ha parlato di un clima di concordia nazionale e ha chiesto – cito – che “la rapidità degli interventi diventi un’ossessione per tutti…”
“Ossessione” a parte, Zingaretti parla di “concordia nazionale” basata sul grazioso riconoscimento dell’altro, ma specifica: senza cambiare governi o ruoli. Non esattamente lo spirito che c’è stato in Italia nel dopoguerra e che c’è ancora in Germania.
Ezio Mauro ha invece parlato di ordine politico, di sovranità popolare che dovrebbe avere la sua applicazione più ortodossa, muovendo dal basso verso l’alto oltre il “perimetro repubblicano” e che dovrebbe contenere “chi comanda” ma anche chi è in “minoranza”…
In astratto è così, in concreto in Italia è l’opposto. Oggi, quella che si considera una “maggioranza” in Parlamento - una maggioranza comunque non votata come tale perché composta dalla somma di opposti che, come tali e cioè come opposti, si erano presentati agli elettori – è in realtà diventata una minoranza nel Paese. All’opposto, quella che si considera “minoranza” è in realtà diventata maggioranza nel Paese. Facciamo un test democratico: il test del bar, ma potresti anche farlo su di un autobus o su un treno. Se gli astenuti sono pari al 40% degli aventi diritto, se i votanti sono nell’insieme il 60%, se hai il 20% di questo 60%, vuol dire che hai il 12%. Se entri in un bar o se sali su un autobus o su un treno, devi verificare che 12 sono con te, ma che gli altri 88 sono indifferenti o contrari. C’è qualche difficoltà a dire che questa è una maggioranza…
Nel frattempo Franceschini starebbe lavorando per rendere stabile l’alleanza tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle. Secondo Lei questa è una strada percorribile?
Ho molto rispetto e considerazione per le sue capacità politiche, ma sarebbe un’alleanza con gli eletti, non con gli elettori. È poco probabile che gli elettori, quelli che a suo tempo hanno votato per gli eletti Cinque Stelle, vedano con favore questa novità, questa variante politica. Per conseguenza, è probabile che quando voteranno, se ancora ci saranno, non voteranno per la combinazione successiva. In politica ancora non ci sono le alleanze “retroattive”!
Cosa sta facendo il governo per uscire da questa crisi?
Si cerca un percorso magico e si fa ricorso a forze risolutive esterne. Questa una application della “teologia del miracolo”, espressione di fenomenologia magica. E comunque si tratta di una magia, sia che si guardi all’Europa sia che si guardi ai tecnici. In realtà, verrebbe a trattarsi comunque di una combinazione magica: l’Europa dovrebbe darci il futuro, i tecnici dovrebbero fornire di montaggio. Forse è difficile che sia così.
Dall’Ue è arrivato il Recovery fund. Qual è il suo giudizio?
Si spera che il Recovery fund sia l’equivalente della manna nella Bibbia. Si dice che il diavolo sta nei dettagli, ma è tuttavia vero che a Bruxelles ci sono più dettagli che diavoli. La Merkel sarà anche diventata una brava diavolaccia, ma le strutture europee restano.
Non c’è dunque da fidarsi di Bruxelles?
L’idea degli eurobond è certamente positiva e mi permetto di notare che li ho proposti anche io (e Prodi li ha bocciati) nel semestre italiano del 2003 e poi ancora nel 2010 con Juncker, sul Financial Times. Ricordo di avere detto in Parlamento, parlando di eurobond e citando Hamilton: “Con una piccola quantità di denaro fonderemo una grande nazione”. Il fatto che a Bruxelles se ne parli è certamente positivo per il futuro dell’Europa. Lo stesso riguarda la “Web Tax” europea, la giusta imposta europea sulla rete. Ricordo che nel 1994 presentammo a Bruxelles il nostro Libro bianco sulla riforma fiscale e qui uno dei principi era “passare dalle persone alle cose”. Oggi tassare con una giusta imposta le cose che circolano sulla rete è positivo.
Come diceva Lei, però, il diavolo sta nei dettagli...
Prima di tutto va chiuso il vecchio bilancio post Brexit, poi si deve passare al nuovo bilancio 2021-2027 e per questo serve comunque un voto unanime che non c’è ancora e che ci sarà certamente ma solo all’ultimo. Un bilancio che dovrà essere fatto tenendo conto non solo dei Paesi cosiddetti “frugali” ma anche dei Paesi “poveri” dell’est che avranno forse non infondato titolo per contestare che i fondi europei vadano comunque a benificio di Paesi che sono più ricchi di loro. È su questa base che deve esser definito il finanziamento “next generation”. Dovrà essere cifrata la quota addizionale di contribuzione al bilancio richiesta a ciascun Paese. Ancora dovrà esser definita la percentuale per fondo perduto e quella per prestito. Una volta definito tutto questo, saranno a dicembre il Consiglio e il Parlamento europeo ad esprimere il voto definitivo. Fatto questo, sarà la Commissione a richiedere le condizioni politiche richieste ai singoli Stati e poi a seguire con consenso o dissenso l’attuazione dei piani di investimento nazionali. Si tende inoltre a ignorare che quanto sarà destinato a ciascun Paese non sarà erogato in blocco, ma spalmato su sette anni, anche perché i soldi non ci sono ancora e devono essere raccolti con maggiori contributi nazionali, con emissioni di eurobond. In questi termini è prevedibile che una quota significativa dei fondi destinati ai piani di recovery si manifestino solo a partire dal triennio 22/24. Eventuali anticipazioni tenderanno ad essere uguali alle maggiori contribuzioni nazionali richieste. Piuttosto che niente è meglio piuttosto, ma non mi pare che si tratti di un miracolo.
Questo è la prima magia. La seconda?
È quella che si sviluppa facendo ricorso e coinvolgendo i “navigator” in grisaglia, gli ottimati, l’esercito di riserva della borghesia.
Da una parte i navigator in grisaglia, dall’altra i grillini...
Una volta – sembra un secolo fa – si diceva a proposito dei Cinque Stelle al governo: “Saliresti su un aereo pilotato da un pilota che pilota per la prima volta?”. Oggi, si potrebbe ripetere: “Ti faresti operare da un laureato in medicina a Yale ma che non ha mai operato?”. Queste considerazioni dovrebbero essere fatte a proposito del governo: “Ti faresti governare uno che non ha mai governato neanche un condominio?”. Questa tendenza superstiziosa porta a dare fiducia ad eventi oracolari, basato su più o meno precise armature logico-schematiche-matematiche, basate su forme di ipotesi più astratte che reali.
Si parla spesso di semplificazione. Ma a che punto siamo?
La “fabbrica della legge” è una delle poche fabbriche che in Italia lavora a ciclo continuo, una fabbrica che ha super lavorato anche in tempo di pandemia. Considerando l’estensione per chilometri lineari delle norme vigenti, un test sull’effettiva capacità di semplicazione può esser fatto chiedendo a un ministro o a un sottosegretario di spiegarti un articolo di legge sorteggiato a caso, magari anche limitando – si fa per dire – il campo agli ultimi decreti. Se non lo capisce lui, figurarsi un falegname. Pensare di affidare un meccanismo di semplificazione a questo governo – e basta guardare le norme per questa emergenza – è come affidare la sicurezza alla banda bassotti.
Lei prima ha citato il 1994. Cosa è cambiato da allora?
Le posso citare alcuni tratti differenziali fondamentali: certamente Berlusconi rappresentò l’avvento di una politica nuova, ma questa era una politica che veniva dopo che c’era già stato il crollo di quella vecchia ed era, quella del 1994, una politica che si presentava senza che prima ci fosse stata una vera crisi economica o sociale. Forse c’era stata una flessione marginale del Pil, ma fondamentalmente l’atmosfera che si respirava era fortemente positiva, quindi aperta verso una nuova politica che si presentava con novità e con forza. Se posso, non vedo in giro figure carismatiche come quella che c’era allora.
Cosa sta succedendo davvero in Europa?
L’Europa si è auto disapplicata: ha rimosso i vincoli di bilancio, le percentuali di Maastricht, ha rimosso il divieto di aiuti di Stato, autorizzando con ciò la segmentazione del mercato interno e, infine, ha creato dal nulla una sconfinata massa monetaria destinata a finanziare l’incremento dei debiti pubblici. Ma questo è uno stato che non può durare. La corte tedesca di Karlsruhe indica che alla Bce non si può continuare con il cubismo idealistico alla Picasso, con i liquidi che sostituiscono i solidi, con i debiti che sostituiscono i capitali e con i tassi sotto zero che distruggono il welfare del centronord.
Qual è stato il momento zero in cui l’Europa è cambiata?
Si dice che nel 2012, con il “whatever it takes”, è stato “salvato” l’euro, anzi che è stata “salvata l’Europa”. Quanto è stato fatto nel 2012 è stato giusto. Ma giusto come un intervento da pronto soccorso. In realtà è seguita una degenza lunga otto anni, con la finanza che ha iniziato a “oppiare” la politica. Una prova di questo? Quante riforme ci sono state in questi anni in Europa? Nessuna. Ai governi conveniva infatti consumare oppio politico e alla Bce coltivare e produrre oppio monetario. Nel frattempo, l’asse del potere ruotava dai governi e dalla politica alla Bce e da questa, più debole della Fed, al mercato monetario.
Ci è stato detto tutto di quegli anni?
C’è un “mistero” che ancora non è stato svelato. Ripeto, nel 2012 ci è stato detto che sono stati “salvati” l’euro e addirittura l’Europa. Ma ancora non ci è stato: salvati detto da che cosa? La Grecia era già stata “salvata” dalla Troika, l’Italia era già stata “salvata” da Monti. Qual era il male da cui l’euro e l’Europa dovevano comunque essere salvati? Sarebbe forse il caso di andare indietro, all’autunno del 2010, quando, tornando dalla loro passeggiata sul pontile di Deauville, Merkel e Sarkozy dichiararano che gli Stati potevano fallire, con ciò identificando lo Stato con il mercato, e poi anche che per questo gli Stati potevano uscire dall’Unione. In Germania, nel mese scorso, è stato detto che la Merkel stava facendo un salto sulla sua ombra. Il problema è quello di sapere quante ombre ha la Merkel. Certamente, la politica europea e quella interna tedesca sono cambiate dal mese scorso, ma resta all’interno del sistema tedesco la matrice di una crisi finanziaria potenziale. Una crisi generata nel 2010 e che ancora non è stata superata.
Nella storia ci sono immagini iconiche. Qual è quella che più l’ha colpita?
L’immagine dei capi di Stato e di governo europei che si recano a Francoforte per la staffetta dei due banchieri centrali. Non sono andati all’insediamento della Von der Leyen, ma a quello della banca. Questo di per sé ci dice qualcosa. Avremmo mai visto De Gaulle, Adenauer, Mitterand e Cossiga ossequiare i banchieri? In America si stampa moneta ma il potere ce l’ha ancora la politica: la Casa bianca e il Congresso. Da noi il potere non ce l’hanno i capi di Stato e di governo, ma neppure la Bce. Tutto dipende dalla magia dei liquidi. Già oggi è evidente che i miliardi non bastano più e che ai trilioni non crede più nessuno. A partire dal 2012, tanto negli Usa quanto in Europa, la massa monetaria creata dal nulla è arrivata a cifrare 80 trilioni di dollari o di euro. Gli sbalzi di borsa che si sono visti in questi giorni, sbalzi senza una ragione convenzionale, sono terribilmente sempre più simili a quelli del 1929. Quella una crisi che esplode in dipendenza del fatto che era finita la fiducia nei “valori” di borsa.
Qual è lo stato della finanza italiana?
La tendenza attualmente in essere e in divenire è verso la crescita esponenziale del deficit, e di riflesso del debito. Quella del Pil pare essere una variabile indipendente dalla considerazione politica.
Cosa succederà quindi?
Nei palazzi di Roma si pensa che sia necessario generare nell’economia quello che amano chiamare uno choc. Non è però priva di fondamento l’ipotesi opposta: che non sia il “Palazzo” a shockare la società ma che sia la società a shockare il Palazzo. Il fabbisogno pubblico sta crescendo, ma quello sociale sta crescendo ad una velocità ancora superiore.
Perché secondo Lei?
Non vengono valutati gli effetti sociali della crisi economica. A differenza di quanto è stato negli anni Settanta, questa è una crisi che si estende alle partite Iva e, dunque, è una crisi trasversale. La si vedrà non solo nella chiusura dei cancelli delle fabbriche, ma anche nel fatto che resteranno abbassate le saracinesche dei negozi, dei bar e dei laboratori della piccola impresa.
Come uscire allora da questa crisi?
Ci sono due vie: o Camaldoli o elezioni. Camaldoli è stato il luogo in cui il mondo cattolico si è aperto agli altri e diversi mondi della politica. A Camaldoli Aldo Moro figurava come “giornalista”. Era ancora tempo di clandestinità.
Alla Costituente, Moro, nell’alternativa tra Parlamento e popolo, esclude che un Parlamento possa sopravvivere in assenza di popolo, chiuso in se stesso e lontano dal popolo. Se popolo e Parlamento non coincidono nella rappresentanza e soprattutto nella realtà, se non c’è unità, non c’è alternativa alle elezioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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