Finita, e non in gloria, la partita parlamentare sul ddl Zan, scende in campo la mitologica «società civile». Anzi, come annunciava solenne un titolo di Repubblica ieri, «la rivolta della società civile».
Giovedì e poi ancora ieri, in molte città italiane, sono andate in piazza migliaia di persone per protestare contro l'affossamento della legge anti-omotransfobia, al grido di «non ci arrenderemo». Associazioni Lgbt, militanti di sinistra, l'immancabile Anpi pronta alla lotta partigiana pro-Zan e anti-Renzi, l'altrettanto immancabile Cgil, i parlamentari e sindaci del Pd a benedire il tutto. Slogan e cartelli contro il voto parlamentare, annuncio di iniziative «dal basso» visto che i partiti rappresentati nelle Camere non sembrano in grado di cavare un ragno dal buco: si raccoglieranno le firme su una proposta di legge di iniziativa popolare, che però poi dovrebbe essere ratificata dal medesimo Parlamento. Ma anche - ahinoi - qualche sbavatura verso l'intolleranza modello no vax-Forza Nuova. La sede di Forza Italia a Bologna vandalizzata a colpi di vernice rosa, quella di Italia viva a Firenze oggetto di un sit-in ad personam che si terrà oggi. A dimostrazione che gli hater si infiltrano ovunque, appena trovano un nemico da odiare: ne sa qualcosa il direttore di Hufffington Post Mattia Feltri, reo di aver semplicemente sostenuto, in un corsivo su La Stampa, che è difficile abolire l'odio per legge, e che anche i pasdaran del ddl Zan che hanno coperto di insulti i suoi critici non ne sono per nulla alieni. Apriti cielo: contro di lui si è scatenato il lynch mob da tastiera dei «buoni», pari più o meno a quello scatenatosi sul perfido Renzi, additato come colpevole del patatrac, in casa Pd.
Nel quale Pd non tutti digeriscono la strumentalizzazione fatta dal Nazareno di una sconfitta (annunciata e cercata) sulla sospensiva anti-Zan, per rompere i ponti con i moderati di Iv. E per regolare i conti con la minoranza di Base riformista, considerata una fastidiosa quinta colonna renziana che andrà drasticamente sfoltita nelle prossime liste elettorali. La tensione è tale da costringere ad intervenire il ministro della Difesa, nonché leader di Base riformista, Lorenzo Guerini, che invita a «guardare avanti» rispetto alle polemiche, e ricorda a Letta che per l'elezione del nuovo capo dello Stato «il metodo è quello di costruire il più ampio consenso possibile», e non di scomunicare a destra e a manca per ritrovarsi isolati come sulla legge anti-omofobia.
Ma anche altre autorevoli voci ammoniscono il segretario dem, ricordandogli che gli eccessi di settarismo rischiano di penalizzare proprio il suo partito: «Andrei cauto a parlare di rotture insanabili e spartiacque definitivi - è la tirata di orecchie che arriva da Luigi Zanda - Non è il voto su Zan ad aver definito il perimetro del centrosinistra, e non è dall'esito di uno scrutinio segreto che il Pd deve elaborare la sua politica di alleanze: sarebbe un errore fare questa equivalenza». E il sindaco di Bergamo Giorgio Gori è altrettanto netto: «È un errore» scegliersi gli alleati in base ai sospetti sul ddl Zan.
E ammonisce Letta: «In questi casi è consigliabile contare fino a 100. Altrimenti, per dispetto e per far dispetto, si corre il rischio di farsi male da soli». Ossia non solo di perdere la partita del Colle, ma anche di non avere alleati (a parte forse i grillini) alle prossime elezioni.
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