Nella costruzione dell'immagine di Giuseppe Conte come volto della "vera sinistra" ha giocato e continua a giocare un ruolo fondamentale il "picconato" che ora vuole fare il picconatore: Massimo D'Alema.
L'ex Ds, che dopo la fuga dal Partito democratico d'epoca renziana ha aderito ad Articolo Uno, ed è da anni il primo sostenitore di Conte come volto nuovo e frizzante della politica che dovrebbe uscire dai commissariamenti dei "poteri forti" e tornare a dialogare con le persone. Dialogare dicendo cose di sinistra, ovviamente.
La sua personale opa su Conte D'Alema l'ha lanciata già nell'autunno del 2019, appena tramontata l'esperienza del governo gialloverde. Vista la rottura da parte di Matteo Salvini e l'inizio della lenta metamorfosi "centrista" di Luigi Di Maio, D'Alema scelse di puntare sul cavallo di Volturara Appula come sponsor di nuovi concetti e nuove visioni politiche di sinistra da introdurre al posto del caos populista del Movimento 5 Stelle e del radical-chicchismo del Pd. Del resto, l'unica cosa che condivide da sempre con Matteo Renzi è l'idea di cambiare pelle ai dem: il Bomba li voleva traghettare al centro, il comunista col Rolex li voleva superare a beneficio della nascita di un unico contenitore di sinistra capace di tenere insieme tutte le anime che oggi sono divise.
Un federatore perfetto, nell'idea di D'Alema, potrebbe (o dovrebbe) essere proprio Conte. Una prima investitura arrivò proprio in quel settembre 2019 quando Conte abbandonò le vesti dell'avvocato del popolo per comparire alla festa di Articolo Uno e per iniziare ad introdursi negli ambienti progressisti che sarebbero stati da basi per il Conte II. Conte venne accolto da D'Alema e da quel Roberto Speranza che era stato appena nominato Ministro della Salute: una scelta che sancì il "matrimonio combinato" dal punto di vista politico ma che nessuno poteva ancora immaginare avrebbe messo nelle mani dell'anonimo Speranza la responsabilità di gestire dal punto di vista sanitario due anni di pandemia da Covid.
Nel corso del tempo, Conte e D'Alema hanno iniziato a condividere praticamente tutto: l'odio politico nei confronti di Renzi; il tira e molla con i dem; la critica al governo Draghi; le strategie per fronteggiare la crisi Ucraina.
A gennaio, appena prima della guerra, D'Alema aveva già bocciato Draghi, in odore di transumanza da Palazzo Chigi al Quirinale. Disse: "L'idea che il premier si auto-elegge Capo dello Stato e nomina al suo posto un alto funzionario del Ministero dell'Economia mi pare non adeguata per un grande Paese democratico come l'Italia, con tutto il rispetto per le persone". E poi: "Non mi impressiona che abbiamo al governo Draghi, che è una condizione di necessità, ma il tipo di campagna culturale che accompagna questa operazione, sulla necessità di sospendere la democrazia e di affidarsi a un potere altro che altro non è se non il potere della grande finanza internazionale". Per D'Alema la scelta del nuovo Presidente della Repubblica sarebbe dovuta essere l'occasione per "un ritorno in campo della politica".
Attenzione alle parole. Perché sono le stesse usate da Conte per far cadere Super Mario. E che l'ex premier ha ripetuto quasi fedelmente anche ieri a Sky TG24: "Non è con il prestigio, l'abbiamo ormai toccato con mano, e non è con un buon curriculum che si può governare un'emergenza energetica come questa, che adesso sta sfuggendo di mano. Va recuperata la politica, la dialettica tra i partiti e tra le idee".
Dopo il 24 febbraio, D'Alema fu tra i primi a parlare apertamente delle "ragioni di Putin" e, pur non potendo in questo caso ripetere pubblicamente lo slogan, Conte e il suo Movimento sono diventati nel corso delle settimane sempre più freddi per quanto riguarda l'ipotesi dell'invio delle armi e del sostegno finanziario all'Ucraina per privilegiare la linea del dialogo.
Infine, il rapporto col Pd. Sempre a gennaio D'Alema provò a rimettere un piede nel partito, parlando di partito "guarito" in riferimento all'espulsione del "virus Renzi". Anziché trovare le porte spalancate, però, quell'approccio fu troppo traumatico e i vertici dem lo respinsero con perdite: "Il Pd da quando è nato, 14 anni fa, è l'unica grande casa dei democratici e progressisti italiani. Sono orgoglioso di esserne il segretario pro tempore e di portare avanti questa storia nell'interesse dell'Italia. Nessuna malattia e quindi nessuna guarigione. Solo passione e impegno", scrisse Letta.
Fallito l'abbordaggio, allora, D'Alema ha "insegnato" a Conte, con la partecipazione straordinaria del guru dei dem Goffredo Bettini, che dell'avvocato pugliese è un grande sostenitore, come poter fare la concorrenza al Pd sul suo stesso campo. Risultato: il trappolone a Draghi per niente condiviso col Pd, il mancato accordo elettorale, la campagna elettorale condotta come volto della "vera sinistra", quella del popolo da contrapporre a quella "borghese" dei piddini.
Domenica questa lotta all'ultimo voto giungerà all'epilogo. La creatura di D'Alema punta a salire oltre il 15% e ad avvicinarsi più possibile al Pd che staziona sopra al 20% con quotazioni in ribasso.
L'entità della forbice tra i due soggetti politici stabilirà, oltre alla possibilità di convergenza post-voto, la composizione ideologica dell'elettore tipo della sinistra: i sostenitori dei diritti dei lavoratori, dei meno abbienti, del reddito minimo, della diplomazia, inizieranno a vedere in Conte un riferimento chiaro, anziché nel Pd sostenitore dei banchieri, delle misure draconiane di Bruxelles, del jet-set e dei privilegiati. Il piano di D'Alema, in tal caso, potrà dirsi riuscito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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