Gli argomenti si incrociano a Davos. E anche il presidente ucraino interviene in collegamento nell'appuntamento economico più importante dell'anno tornato dopo due anni di Covid e l'edizione 2021 annullata dal virus. «Embargo completo sul petrolio, sanzioni massime, nessun commercio con Mosca - chiede Zelensky -, tutte le banche russe siano escluse dai sistemi globali». L'Sos cibo: «Serve un corridoio per l'export del grano e dei cereali, altrimenti sarà estensione della crisi energetica e alimentare». Ma poi vira sull'89° giorno di guerra: «È l'ora di decidere se la forza bruta dominerà il mondo».
Considerazioni che proiettano l'immagine del leader di Kiev non più solo come capo di una legittima resistenza nazionale, ma come qualcos'altro. «Non aspettate che la Russia usi armi speciali, chimiche, biologiche o Dio non voglia nucleari, non date l'impressione che il mondo non opporrà una resistenza adeguata». Zelensky vuole «cambiare approccio, agire preventivamente, adattarsi con nuovi strumenti». Sostanzialmente contrattaccare con armi a lunga gittata per fermare Putin e sbloccare lo stallo delle merci nei porti. Mentre la Russia si dice «esportatore affidabile», smarcandosi da ogni accusa: «Quando i treni con le armi arrivano dalla Polonia - tuona Dimitri Peskov - nessuno impedisce loro di riportare indietro grano».
Applaudito da tutti, tranne dai delegati cinesi che sui lampi militari di Zelensky lasciano la platea di Davos (da cui sono stati esclusi i russi), in un altro foro, quello dei 47 Paesi pro-Ucraina riuniti nella base americana di Ramstein da remoto, il discorso «militare» di Zelensky viene passato al setaccio con cautela: per sminare il rischio evocato anche negli Usa. Quello di creare prodromi di escalation con l'invio di armi più sofisticate a Kiev come i lanciarazzi multipli Mlrs, il sistema più potente dell'industria bellica occidentale.
Un utilizzo mirato, e non oltre il confine ucraino dei dispositivi sollecitati da Zelensky, trova terreno fertile nella Ramstein-bis. Videoconferenza allargata: non solo 40 Paesi già convocati il mese scorso dagli Usa tra cui l'Italia (ringraziata ieri dal patron Lloyd Austin, il numero uno del Pentagono per altre «munizioni»). Ma pure le new entry Austria, Bosnia-Erzegovina, Colombia, Irlanda e Kosovo. Per Austin, l'America ha «radunato il mondo libero», i ministri «hanno compreso che la posta in gioco va ben oltre l'Europa, la minaccia russa è un affronto per l'ordine internazionale». E 20 Paesi annunciano nuovi pacchetti d'armi, tra cui Grecia, Norvegia e Polonia, Danimarca (che darà un lanciatore di arpioni e missili per difendere la costa). In collegamento pure il ministro ucraino e il rappresentante dell'intelligence della difesa. Dalla base Usa in Germania filtra poco altro: l'amministrazione Biden ha già spedito a Kiev obici M777, come Australia e Canada, mentre la Gran Bretagna missili Brimstone e un nuovo sistema di difesa a corto raggio, spiega il segretario di Stato americano alla Difesa riconoscendo a Londra «un ruolo guida». I pezzi d'artiglieria giunti finora in Ucraina hanno portata di 30 km, un proiettile alla volta e devono essere trainati da camion di città a città. I super-lanciarazzi chiesti da Zelensky hanno invece un raggio d'azione fino a 70 km; colpire e ritrarsi. Kiev ne sostiene la necessità per avversare Mosca nel Donbass. Austin invita i 47 Paesi il 15 giugno a un terzo incontro a margine del vertice Nato di Bruxelles. «Vogliamo continuare le riunioni».
Un rendez-vous militare che lascia intendere come, nelle previsioni del Pentagono, la guerra vada avanti a lungo. Tocca però decidere se farla salire di livello, assecondando le pressanti richieste di Kiev, o frenarla. In qualche modo.
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