Dopo la battuta d'arresto registrata dai sondaggi, si abbatte la tegola giudiziaria sul «quasi candidato» alla presidenza della Repubblica francese. Ieri a Parigi si è aperto infatti il processo al polemista transalpino più in vista, il «terzo incomodo» in corsa (laterale) per l'Eliseo, che sembra in grado di sfidare Emmanuel Macron con possibilità di ballottaggio fra i due.
Pur non essendo ufficialmente candidato, Éric Zemmour supera Marine Le Pen nelle intenzioni di voto: nell'ultima rilevazione Harris Interactive, con il 17-18%. Ora però il politologo stella del prime time si trova a dover rispondere in tribunale delle sue dichiarazioni sui migranti minori non accompagnati, bollati in diretta tv come «ladri, assassini e stupratori».
Aula piena, ieri a Parigi, col polemista grande assente. Fin dai primi minuti, tensioni per l'ammissibilità delle parti civili. Una trentina, tra cui Sos Racisme, Ligue des droits de l'homme (LDH) e Maison des potes. Ma anche una ventina di consigli dipartimentali, poiché i minori non accompagnati sono a carico degli assistenti sociali delle «province», come quello della Seine-Saint-Denis. Proprio questi organismi sono da tempo nel mirino di Zemmour. E schierano in aula un plotone pronto a dargli del fascista a tempo di slogan. L'ex editorialista di Le Figaro, 63 anni, ha dalla sua due prefetti, che si sono già uniti alla sua sfida (politica) dando corpo a un progetto di governo sempre più strutturato.
Zemmour, abituato alle arene, rifugge però la sbarra. Rischia fino a un anno di prigione e 45mila euro di multa. Ieri non si è presentato per non rendere l'udienza «uno studio tv all news», spiega l'avvocato. Ciononostante, bagarre è stata. Il suo legale parla di processo «politico». Il diretto interessato bolla (via comunicato) l'azione della procura come «tentativo di intimidazione». È l'assaggio di quella che potrebbe essere la campagna elettorale francese se «l'ebreo berbero» che spariglia i pronostici decidesse di ufficializzare la sua discesa in campo; già in corso nei fatti.
Il nuovo procedimento giudiziario del polemista (15 azioni legali negli ultimi 10 anni, due condanne nel 2011 e nel 2018) idolo di masse sempre più affezionate alla tesi della sostituzione etnica, causata da immigrazione musulmana incontrollata, gli contesta la «complicità in provocazione all'odio razziale» e «ingiuria a sfondo razziale». Zemmour deve risponderne, nonostante la rettifica fatta nella stessa trasmissione del 29 settembre 2020: «Non tutti i minori», precisò, però «bisogna mandarli via e non devono venire».
Dopo la condanna a 10mila euro di multa (lo scorso autunno per frasi sull'islam), Zemmour è stato costretto a metà settembre a lasciare anche il programma di punta di CNews viste le ambizioni presidenziali: godeva di un credito di share da spendere a piacimento grazie alla rete. Il Consiglio superiore dell'audiovisivo (Csa) ha sanzionato l'emittente di Vincent Bolloré a marzo: 200mila euro per «incitamento all'odio». Ma Zemmour non è solo.
Ha un esercito di sostenitori pronti a seguirne le gesta anche in tribunale: ieri i giovani della sigla «Generazione Z» si sono presentati sventolando il drappo bleu blanc rouge. E ora anche Macron lo teme, mentre fino a due mesi fa le truppe del presidente guardavano con sufficienza ai blitz di Zemmour, ignorando le sue intemerate tv.
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