Palazzo Madama o Montecitorio per lui pari sono. Di sicuro c'è che correrà per le prossime politiche, e che per farlo non mollerà la poltrona di governatore prima del tempo. In fondo quella carica lo rende incompatibile, non ineleggibile, e dunque Nicola Zingaretti, se eletto in Parlamento, avrà 30 giorni di tempo per decidere se restare alla guida del Lazio o sbarcare nella politica nazionale, prevedibilmente optando per quest'ultima. In fondo, anche da segretario del Pd, qualcuno dei suoi non esitava a rimarcarne la carriera da amministratore più che da politico. Così, ora, dopo aver governato la provincia di Roma, il Lazio e il Pd, a Zingaretti non resta che fare il grande salto ed entrare nel Palazzo. La scelta è lecita proprio perché l'incompatibilità scatterebbe solo dopo l'eventuale elezione, e dunque va benissimo restare con il piede in due scarpe durante la campagna elettorale, prima di mollare la Regione e il compito di indire elezioni anticipate anche per il Lazio - al suo vice Daniele Leodori in autunno, se tutto alle urne andrà come spera il presidente, che si attende un seggio in un collegio sicuro.
Ovviamente la scelta opportunista espone Zingaretti alle critiche dell'opposizione, con la consigliera regionale di Fdi Laura Corrotti che, dopo le dimissioni di Draghi, ha ricordato al governatore che «il salto senza le dimissioni è formalmente possibile ma moralmente inaccettabile». Ma tant'è, conta il «formalmente», e anche se Zingaretti a marzo 2021 lasciò la segreteria Dem vergognandosi perché nel Pd «si parla solo di poltrone», ora sceglie di continuare a occuparne una mentre punta all'altra. Solo due settimane fa, appoggiando Letta che caldeggiava una candidatura unitaria senza primarie per le prossime regionali nel Lazio, aveva ricordato come ci fossero «ancora mesi di lavoro e governo di questa amministrazione». Poi la crisi e la salita di Draghi al Quirinale hanno accelerato le cose, mentre il «campo largo», defunto a Palazzo Chigi, sopravvive, almeno finora, nella giunta di Zingaretti. Presidente uscente ma non troppo, tanto che l'accordo senza primarie che vedrebbe una convergenza sul nome di Enrico Gasbarra come successore del governatore sarebbe finalizzato proprio a mantenere viva la strana alleanza con i pentastellati regionali, considerata una chance in più per tentare di contrastare la vittoria del centrodestra che anche nel Lazio, come pure a livello nazionale, è avanti nei sondaggi: alle ultime amministrative, a dire il vero, l'alleanza Pd-M5s nel Lazio non ha pagato, perdendo in tutti i capoluoghi al voto (Rieti, Frosinone e Viterbo).
Ma tant'è, al momento, nonostante quanto accaduto al governo del Paese, in Regione sembra che tutto prosegua come sempre, con l'assessora pentastellata Roberta Lombardi che assicura che «il campo largo non è in discussione» e lo stesso entourage di Zinga lesto a ribadire che «non c'è alcuna crisi politica», mentre il grande capo attende la sua candidatura blindata.
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