Primavera fallita, Yemen senza governo al bivio: decidere tra emirato qaidista e regime islamico

Il presidente Saleh, ferito nell’attentato di venerdì, è ufficialmente a Riad per cure, in realtà è in esilio e l’Arabia punta alla "normalizzazione". Re Abdullah punta su un partito di osservanza wahabita per battere Al Qaida

Primavera fallita, Yemen senza governo al bivio: 
decidere tra emirato qaidista e regime islamico

Cambiar tutto per non cambiare nulla. La cura del Gattopardo per lo Yemen in rivolta arriva dall'Arabia Saudita. Inizia tutto sabato notte quando un aereo con a bordo il presidente Abdullah Saleh, le sue due mogli e una trentina di cortigiani, decolla alla volta di Riad. Ufficialmente non è una fuga. Ufficialmente il dittatore va solo a curarsi le ferite subite durante il bombardamento che venerdì ha colpito la moschea dove Saleh e i suoi collaboratori erano raccolti in preghiera. Ma tutti da Sanaa, a Riad, a Washington lo sanno. La trasferta ospedaliera del presidente al potere da 33 anni, è in verità un viaggio senza ritorno.

Quell'uscita di scena, congegnata dai sauditi, permette a lui di salvar la faccia e a loro d'evitare che il caos yemenita si trasformi in un'epidemia perniciosamente contagiosa.
Per i romantici invaghitisi della primavera araba e dei suoi boccioli di democrazia non è una gran notizia. Chi a Sanaa paragona la dipartita di Saleh alla fuga del presidente tunisino Ben Alì o alla caduta di Hosni Mubarak sa di concedersi un'iperbole tanto illusoria quanto esagerata. Dietro quel ricovero, organizzato per estrarre dal petto del presidente le schegge di legno saltate da un pulpito disintegrato dai razzi, c'è molto di più di un’emergenza sanitaria.

C'è la regia di casa regnante saudita preoccupata e infuriata. La rabbia di Riad è, come nel caso dell'Egitto, tutta per Washington. Tutta per una Casa Bianca accusata di alimentare una voglia di rivolta e di democrazia considerata non meno pericolosa di Al Qaida, della lotta tribale o della rivolta sciita che flagella il Paese confinante. Per il regno wahabita l'insurrezione qaidista già padrona di due città yemenite, la rivolta delle tribù Hashid pronte a conquistar Sanaa sotto la guida dallo sceicco Sadiq Al Ahmer o le infiltrazione iraniane nel settentrione yemenita son mali conosciuti. E in fondo minori. Il rischio da arginare e spegner per evitar un contagio all'interno dei propri confini è invece la dannata voglia di democrazia che da tre mesi spinge le folle yemenite a sfidar l'esercito di Saleh.

A regalare ai sauditi l'opportunità d'agire contribuisce l'arrivo di John Brennan, il consigliere di Obama per l'antiterrorismo spedito a Riad per capire come arginare il caos yemenita ed evitare la nascita di un nuovo emirato islamico. Di fronte allo smarrimento statunitense Riad reagisce avocando a se la soluzione dei problemi. La prima mossa è proprio la rimozione di Saleh, parcheggiato in un ospedale in attesa dell'esilio. Messo da parte l'autarca simbolo dei mali yemeniti, i sauditi si preparano adesso a far ordine alla propria maniera. I primi segnali già si vedono. La partenza di Saleh è stata preceduta da un discreto negoziato che ha bloccato la rivolta delle tribù Hashid. La fase successiva dei colloqui punta a garantire una pacifica spartizione di poteri tra lo sceicco Sadiq Al Ahmer e Ahmad Saleh, il potente e agguerrito figlio del dittatore rimasto a far la guardia alla capitale alla testa della guardia presidenziale.
Ovviamente l'accordo mediato e avallato da Riad punta a disinnescare le mosse dei riformisti. Gli organizzatori delle dimostrazioni anti Saleh rischiano, nonostante i tre mesi d'incessante mobilitazione, di dover fare i conti con un’intesa stipulata sopra le loro teste e garantita dalla potenza militare dei due principali contendenti.

E così dopo aver bloccato qualsiasi illusione di riforma democratica Riad potrà anche alimentare le voglie di potere dei militanti di Al Islah, il partito

islamista guidato dal fratello dello sceicco Sadiq Al Ahmer. Un partito abbastanza lontano dalle posizioni estremiste di Al Qaida, ma abbastanza in linea con le rigorose tradizioni wahabite del "grande fratello" saudita.

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