Continua a salire la tensione al 38° parallelo tra le due Coree, con una escalation che rischia di provocare un vero conflitto. La Corea del Nord ha messo sul piede di guerra le proprie forze armate e ha protesto contro le «provocazioni» di Seul, accusata di aver violato con diverse unità navali la Northern Limit Line, la frontiera marittima. Seul smentisce, ma esercitazioni navali congiunte con la Us Navy sono in corso. Il Nord minaccia «azioni militari» se il Sud continuerà a violare il limite delle acque territoriali nel mar Giallo.
Pyongyang ha deciso di interrompere le relazioni con la Corea del Sud, di far rimpatriare il personale sudcoreano nel distretto industriale «comune» di Kaesong e fonti ufficiose affermano che Kim Jong Il, il paranoico leader nordcoreano, ha annunciato alle truppe la necessità di prepararsi a un’aggressione nemica, ma anche a portare a termine la riunificazione della Corea «sospesa» con l’armistizio. Dall’altra parte anche le forze sudcoreane e quelle statunitensi in Corea del Sud hanno elevato il livello di prontezza operativa e Seul procede spedita sulla strada delle sanzioni economiche, in ritorsione per l’affondamento della corvetta sudcoreana Chon An, colpita da un siluro che non può che essere nordcoreano.
Quello che preoccupa è l’irrazionalità dei nordcoreani, che potrebbero davvero scatenare un conflitto anche solo per aver mal interpretato una mossa degli avversari. L’intelligence sudcoreana e statunitense è quasi completamente basata su sistemi di spionaggio elettronici e satellitare, di agenti operativi ce ne sono ben pochi e hanno un accesso limitato alle informazioni. Proprio per questo rimane la massima incertezza sui siti dove potrebbero essere conservate le fantomatiche armi nucleari di Pyongyang. E ciò rende problematico o impossibile un blitz preventivo, comunque politicamente inaccettabile.
I piani militari sono pronti da tempo e regolarmente provati in esercitazioni, il meccanismo che porterebbe tutte le truppe sudcoreane sotto comando operativo (Opcon) americano in caso di conflitto è predisposto, i 28.500 militari americani nella penisola, in massima parte dipendenti dall’8° Armata e dalla 7ª Forza aerea, sono pronti all’azione. I soldati statunitensi e quelli sudcoreani sanno di dover reagire alle azioni nordcoreane con cautela e moderazione, ma indubbiamente la vicenda del siluramento della Chon An ha creato una voglia di rivincita. Nessun militare sudcoreano vuole subire un nuovo attacco nemico senza reagire. I nordcoreani hanno forze armate male equipaggiate e addestrate, tecnologicamente obsolete e incapaci di vincere un confronto militare prolungato. Ma sono in grado di sferrare pericolosi attacchi di sorpresa utilizzando l’artiglieria a lunga gittata, lanciarazzi e missili balistici, nonché agguerrite e aggressive forze speciali. Seul, vicinissima alla Dmz, potrebbe subire pesanti bombardamenti, scatenati da armi pesanti in larga misura nascosti in caverne e tunnel. Centinaia di bocche da fuoco, da localizzare ed eliminare a una a una. E non è un caso se gli americani hanno spostato le proprie basi dalla linea del fronte alla periferia meridionale di Seul.
Una volta iniziato il conflitto, gli aerei e i missili americani e sudcoreani colpirebbero tutti gli obiettivi strategici, a partire dalle rampe di lancio dei missili a lunga gittata, che non possono essere occultate. Basi, aeroporti, comandi, sarebbero sottoposti a una tempesta di fuoco. E poi, in pochi giorni, le batterie nemiche sarebbero neutralizzate.
Un’improbabile invasione convenzionale nordcoreana si risolverebbe in un massacro per gli attaccanti. Però Pyongyang ha una «finestra di opportunità» di molte ore, forse addirittura qualche giorno, per colpire e fare male.
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