Quell’assedio delle toghe lungo 14 anni

La bufera contro Berlusconi partì nel ’94, quando il premier fu accusato di aver corrotto le Fiamme Gialle. Da allora una ventina d’inchieste. Finite nel nulla

In nessuna nazione dell’Occidente si è mai registrato un assedio così tenace come quello stretto intorno a Silvio Berlusconi da una minoranza di magistrati politicizzati, desiderosi più di «rivoltare il Paese come un calzino» che di rendere giustizia ai cittadini. Il Cavaliere, politico di indiscussa capacità di leadership e di governo, è stato attaccato con accuse molteplici, svariate e fantasiose, talvolta vere e proprie leggende giudiziarie, ma nel tempo – nonostante gli attacchi del giustizialismo togato, politico e mediatico - la sua immagine è crescita nella stima e nelle speranze degli italiani. Quali i motivi di quell’accanimento e di questo gradimento? Dopo tanti processi imbastiti, montati e miseramente sgonfiatisi, la maggioranza degli italiani si è convinta che taluni magistrati, prima ancora di scoprire i presunti reati, avevano scoperto l’imputato perfetto, ideologicamente connotato e schierato contro la sinistra, con l’aggravante di essere pure simpatico agli elettori.
Ed è singolare che l’assedio sia cominciato proprio nel 1994, quando Silvio Berlusconi, che era già un grande imprenditore, decide di scendere in campo, in politica.
Nel marzo di quell’anno il Cavaliere vince le elezioni: è lui che ha creato la coalizione dei moderati, il bipolarismo.
In quello stesso torno di tempo, il pm Antonio Di Pietro (memorabile il suo detto: «Io quello lo sfascio», riferito a Berlusconi) apre un’inchiesta su un caso di corruzione delle Fiamme gialle e indaga il presidente del Consiglio sulla base del teorema «non poteva non sapere». In quello stesso periodo i dirigenti del Pci erano creduti sulla parola quando sostenevano di non aver saputo delle tangenti che consentivano loro di far politica. Ad ogni modo, il 21 novembre del 1994, mentre a Napoli riceveva i grandi del mondo per un convegno sul crimine organizzato, al premier venne notificato un invito a comparire per corruzione. Si noti, l’invito fu notificato tramite il Corriere della sera, in edicola, soltanto dopo fu trasmesso l’atto. Un colpo micidiale, che determina la caduta del governo. Per quell’accusa, Berlusconi sarà assolto, con formula piena, nel 2001. Ma intanto il governo tecnico di Dini.
Nel 1995 salta fuori la contessa Ariosto, trattata con tutti i riguardi dalla Procura di Milano. È lei che racconta di uno straordinario giro di corruzione di magistrati, orchestrato da Cesare Previti e dal giudice Renato Squillante. Burattinaio di questo sistema di malaffare sarebbe, manco a dirlo, Silvio Berlusconi. Le versioni dell’Ariosto, «teste Omega», sono fantasiose, romanzesche, per molti versi assurde. Ma sono credute dai pm. Squadernate dai giornali, montate dai sostenitori del giustizialismo (che vive di antiberlusconismo) le rivelazioni determinano l’arresto del giudice Squillante. Anche questa volta la botte è forte e nel 1996 Prodi vince le elezioni.
Dalle dichiarazioni della teste Omega sortiscono tre processi: l’Imi-Sir, il lodo Mondadori e il caso Sme. Berlusconi viene coinvolto negli ultimi due. Le ricostruzioni dell’accusa sono lacunose, con errori e forzature palesi. Ma i processi procedono. Berlusconi viene assolto, sarà assolto ancora – a dodici anni dall’inizio dell’inchiesta - per il caso Sme: la sua sola colpa era stata quella di tentare di evitare una svendita di favore dell’industria di Stato.
Intanto, non sono mancati altri processi costruiti su presunte irregolarità nella gestione e nell’operato della Fininvest. Grandi titoli, sui soliti giornali che acriticamente sostengono i pm del pool, per All Iberian, Medusa e altre inchieste che, puntualmente, impallidiscono e si sgonfiano. Nelle more di tanti procedimenti si è ipotizzato – e indagato – anche per le presunte collusioni di Berlusconi con la mafia che organizza le stragi del ’92-93. Follie, ignominie delle quali nessuno renderà conto e che saranno ovviamente archiviate.
L’assedio continua. Il caso Mills, costruito sul nulla, viene usato come un ariete in questi giorni di polemica giudiziaria. Ma non basta. I politbjuro della magistratura giustizialista e giacobina in questi giorni criticano tutti i provvedimenti con cui l’attuale governo, su mandato degli italiani, cerca di risolvere le emergenze che ci affliggono.

Una raffica di arresti (che urgenti non erano, dato che l’inchiesta era vecchia di mesi), conditi dalle solite intercettazioni, somigliano troppo a un tentativo di screditare, in assenza di addebiti penali, Bertolaso, il sottosegretario per la crisi dei rifiuti a Napoli. Seguono critiche feroci e immotivate alle norme sull’immigrazione e la sicurezza. Certi magistrati rivendicano un ruolo che non è il loro, infischiandosene degli elettori e della loro volontà. Questo nodo va sciolto.

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