Voglio vedere che obiezione c’è all’osservazione del mio amico medico e docente di medicina Giancarlo Cesana: «Posso capire, anche se non giustificare, uno che dopo tanti anni che accudisce e porta sulle spalle una situazione umana come quella di Eluana, dice “non ce la faccio più, aiutatemi”. Ma quella donna stava da diciassette anni nelle cure e sulle spalle di altre donne. Che l’accudivano e le volevano bene. Vietare la carità è negare la libertà». E così, Eluana comincia a conoscere la più tremenda delle negazioni. La negazione dell’idratazione e dell’alimentazione. La negazione dell’acqua e delle sostanze nutritive. La negazione della carità e della pietà della vita, in nome della carità e della pietà della morte.
Signori, chiudetevi in camera vostra e guardatevi dentro. Lasciate stare per un attimo gli expertise degli illustri costituzionalisti. E la cortina di ferro dell’immenso clamore dato al rispettabile dolore di un padre che nel momento in cui impone il suo caso come materia di una sentenza dello Stato non dovrebbe esigere dagli italiani, dalla politica, dall’uomo della strada, ciò che non ha preteso da se stesso andando in un pubblico tribunale, facendo centinaia di comparizioni televisive, scrivendo libri e facendosi araldo di una svolta così emblematica, drammatica, storica per l’intera comunità di uomini e donne che vivono sotto lo stesso tetto sociale, politico, sanitario, legislativo, in Italia. Signori, ripeto, chiudetevi con la vostra coscienza in un buco dove non arriva la montagna di chiasso, parole a vanvera, ipocrisia, che insozza la bianca carne morente della povera Eluana. Vi sembra sul serio rispettoso della Costituzione uccidere una donna così? Vi sembra che la Legge sia sempre e comunque superiore alla vita di un essere umano? Non avete proprio neanche un dubbio che quello che state facendo a Udine è un atto di infinita violenza contro una condizione umana di cui in fondo non sapete niente? Siete proprio così rosi da questa ansia di farla finita, da questa fede certissima, implacabile, non negoziabile, che quello che state facendo è bene?
Ha la tosse, Eluana. E dicono che è un riflesso pavloviano. Cerca l’aria. E dicono che è già morta da diciassette anni. Ha il corpo macerato, non è più quello di una bella e vitale ragazza. E ci vorrebbero far credere che non è la stessa cosa per i corpi delle migliaia di malati, di cancri o di Alzheimer, che non per questo si ammazzano così, come neanche si ammazzano i cavalli. Letteralmente, lo sappiamo, eutanasia significa «dolce morte». O «morte per grazia» come la definì il decreto di Hitler che per la prima volta nella storia, «il 1° settembre 1939, stabilì che alle “persone incurabili” doveva essere “concessa una morte pietosa”» (Hannah Arendt). Ma questa non è neanche eutanasia. È la fine di ogni buon senso e di ogni pietà umana. Non è solo Eluana che muore morendo. Mentre lei muore, ricordate queste parole, Signori, quel principio di autodeterminazione (che in questo a caso è anche presunto) fa morire il mondo comune. Perché, che mondo ci rimane da condividere insieme se libertà è ritirarsi nel me stesso irrelato dal resto della comunità umana?
Guardatevi dall’alto di un satellite e immaginate cosa diventerà questa umanità balcanizzata che sempre più si ritira nella solitudine, anticamera della morte. Immaginatevelo questo pazzesco zoom. Guardate cosa significa sul serio il principio di assoluta autodeterminazione applicato alla vita umana, alla realtà, alle comunità in cui viviamo. Immaginate questa discesa all’inferno, via via, scendendo dall’autodeterminazione di nazioni e città, all’autodeterminazione di comunità, tribù, etnie, comunità religiose e, infine, individui. Io, tu, Eluana. E tra noi niente. Solo l’autodeterminazione che incrocerà un tu, un noi, una comunità, solo nella morte. È la fine di un mondo. Non solo la fine di Eluana. Non è forse questo che la gente normale, l’uomo della strada, sia pur confusamente apprende nella vicenda di Eluana? Il trionfo della morte. Il ghigno del lupo cattivo. Che non è nessuna delle persone coinvolte nella vicenda, naturalmente. Ma è questo pensiero, questo cancro, questo pregiudizio, che l’uomo malato terminale, la donna vegetativa, sono solo carne inutile. E abbiamo un brivido al pensiero del favore che concediamo alla morte. Contro ogni evidenza umana in lotta per la vita.
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