Il Quirinale sull'isola che non c'è

Nonostante le speranze di Romano Prodi, il caso aperto dal licenziamento in tronco del generale Roberto Speciale non si chiude. Al contrario, si approfondisce la ferita aperta non solo fra governo e opposizione, ma in primo luogo nello «spirito pubblico». Se l'esecutivo avesse dato delle spiegazioni, se avesse motivato le sue scelte, forse avrebbe potuto aprirsi una discussione diversa. Invece tutto resta privo dei requisiti minimi di trasparenza.
È questa opacità che indebolisce le istituzioni e che vanifica in primo luogo lo sforzo con il quale Giorgio Napolitano ha caratterizzato finora la sua presidenza. Cioè lo sforzo di rendere il bipolarismo virtuoso e di trovare possibilità di confronto fra le forze politiche sulle questioni cruciali che riguardano il futuro del Paese. Il presidente, sul piano istituzionale, può avere ragione nel considerare la contesa di stretta pertinenza di Palazzo Chigi. Ma il Quirinale non è un’isola sperduta, lontana dalle tensioni e dai problemi del Paese. Non è vissuto così dai cittadini. È un riferimento costituzionale per gli apparati dello Stato.
La questione che è stata posta - la settimana scorsa, già subito dopo l’esito del voto amministrativo - non riguarda e non può riguardare semplicemente il dibattito politico o vie di uscita da una crisi che certo il Parlamento non ha formalizzato, ma che è nella quotidianità dei fatti. La preoccupazione riguarda ormai la fragilità dell’istituzione-governo, le tensioni interne che ne condizionano l’azione, la caduta di credibilità dell’esecutivo di fronte alla pubblica opinione, fino alla mancanza di trasparenza di decisioni che attengono all’equilibrio fra i poteri.
È, in altri termini, la preoccupazione per una condotta che si può definire solo come anti-politica.

Non è il top dell’anti-politica un presidente del Consiglio che rivendica apertamente il diritto di fare quel che ritiene più giusto, che però non sa motivarlo agli italiani e che ottiene l’appoggio degli alleati solo ponendo la secca alternativa fra se stesso e il diluvio universale? Non è il top dell’anti-politica scavalcare in continuazione il Parlamento e irridere alla democrazia rappresentativa, come è stato fatto ancora una volta dopo il voto amministrativo? Non è il top dell’anti-politica rimuovere, senza spiegazioni, personaggi diventati scomodi, che si tratti del Cda della Rai o del comandante della Finanza?
Non è questo il modo più esplicito e in molti casi sfrontato per affermare che si rinuncia alla politica, cioè alla decisione chiara e trasparente, alla consapevolezza dei rapporti di forza, al rispetto reciproco, alla difesa delle istituzioni intese come punto di riferimento del cittadino?
Se al Parlamento spetta discutere e votare sulla destituzione di Speciale e sulle deleghe di Visco, è chiaro che ormai sono diventati stringenti tutti i grandi temi sul recupero delle virtù repubblicane che il presidente Napolitano, nelle sue prerogative istituzionali, ha posto da mesi all'attenzione degli italiani. E per questo per lui è difficile non ascoltare e chiamarsi fuori.

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