«Racconto la città con i bigliettini trovati per terra»

La città raccontata attraverso i bigliettini, le lettere d’amore e le pagine di bloc notes che i suoi abitanti perdono o abbandonano per strada. E’ l’idea dello scrittore Giorgio Fontana, 28 anni, nato a Saronno (Varese) ma vive e lavora a Milano. Un modo inedito per descrivere una metropoli distratta che dimentica le sue storie, lasciando al giovane narratore il difficile compito di ricomporne la trama intricata.
Fontana, che cosa l’ha ispirata a realizzare questa collezione?
«Lo spunto mi è venuto da Oltreoceano, negli Stati Uniti, dove la rivista Found Magazine in Michigan ha lanciato la moda dei cosiddetti found, raccogliendo da terra e pubblicando lettere e biglietti del metrò con annotazioni di ogni tipo. Una domenica pomeriggio ho cominciato a girovagare per Milano senza una meta precisa, partendo da piazzale Loreto dove in un bar gestito da algerini ho trovato uno scontrino con una scritta sul retro: “via Vittor Pisani 15“. Mi è subito venuta la curiosità di andare a vedere che cosa ci fosse a quell’indirizzo e ne è nato un gioco che poteva durare all’infinito, in quanto quello che trovavo mi rimandava sempre a qualche cos’altro».
E cosa ha trovato durante questo «viaggio»?
«Praticamente di tutto. Una cartolina che non è mai stata spedita, un pacchetto di sigarette Camel con una spilla di Playboy infilata dentro, il dépliant di una mostra con alcuni orari sottolineati e un numero di telefono. Anche se l’oggetto che mi ha affascinato di più mi è finito tra le mani, quasi per caso, in un bistrò di Foro Bonaparte: un plettro Fender arancione con le iniziali A.S. e un minuscolo teschio disegnato sotto».
Ma che «valore» hanno tutti questi oggetti? Quali significati, secondo lei? Sos lanciati in una bottiglia, frammenti di un puzzle andato in mille pezzi o una babele di messaggi in una città i cui abitanti non riescono più a capirsi?
«Innanzitutto sono soltanto delle piccole cose abbandonate. Smarrite in modo involontario, ma certamente - e quasi paradossalmente - cariche di significato. Prendiamo la cartolina. Può essere stata una banale dimenticanza, oppure una lettera d’amore che all’ultimo, per qualche ragione misteriosa, il mittente ha deciso di non spedire. L’elemento predominante è dunque quello soggettivo. Per quanto mi riguarda, raccogliendo e collezionando i found non volevo dare un giudizio di valore sulla città, ma solo abbandonarmi a un divertissment».
Solo questo?
«In realtà, l’immagine dell’Sos in bottiglia è azzeccata. Ma sono Sos rivolti a nessuno, proprio in quanto dimenticanze. Almeno finchè qualcuno si attiva, li raccoglie e comincia a cercare delle storie legate a quegli oggetti. Per esempio, immaginando che la spilla di Playboy sia il ricordo abbandonato di una vecchia ragazza, che un ex yuppie ingrigito ha infilato in un pacchetto vuoto di Camel. E’ questo che, in quanto scrittore, mi affascina dei found».
Quella che emerge da un materiale come i found è anche una città frammentaria, senza centro. Milano è davvero così?
«No, preferirei definirla una città il cui centro è vuoto, una specie di buco nero, o nella migliore delle ipotesi con un cuore che batte poco. E che porta a un’atomizzazione sociale, a una difficoltà di interazione, proprio per la mancanza di spazi dedicati all’incontro e al confronto tra le diverse persone».
Pensa che l’idea di collezionare i found si sarebbe adattata bene a qualsiasi altra città italiana?
«No, questo tipo di ricerca si presta bene soprattutto a Milano, che è una metropoli i cui abitanti camminano sempre di fretta e con gli occhi bassi.

Proprio perché manca di splendore, non ha la bellezza di Roma o Firenze, e dunque ha un impatto visivo e sensoriale minore, è più impalpabile. Ma questo lascia più spazio a chi, come me, ama inventarsi delle storie a proprio piacimento prendendo a spunto anche i piccoli oggetti trovati per strada».

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