Riferimento culturale cercasi

Appena archiviato il referendum sulla Costituzione, si sta già imponendo un nuovo problema politico, quello relativo al finanziamento della nostra missione di pace in Afghanistan. Subito dopo, è facile immaginare, si aprirà la discussione sulla manovra fiscale del governo che ci toglierà dalle tasche un po’ di soldi. È un continuo emergere di problemi che non danno il tempo di riflettere sul modo in cui si è risolto o non risolto quello precedente.
C’è però una costante che appare, credo, ormai evidente nell’azione del centrodestra, quasi un nodo che non si è mai voluto sciogliere o si è trascurato perché ritenuto poco rilevante. Questo nodo lo chiamerei «questione culturale».
Un principio elementare della politica afferma che il consenso si costruisce attraverso corrispondenze culturali nella società. Un consenso che è tanto meno occasionale quanto più è radicato in una convinzione culturale; un consenso che è tanto meno fragile, distratto o opportunista quanto più esso intende affermare nell’azione politica i propri valori, il proprio modello di vita, il proprio progetto sul futuro, cioè quanto più esso si basa su una non effimera visione culturale.
La coalizione di centrodestra agli inizi degli anni ’90 nasce, dopo il terremoto della Prima Repubblica, con il fermo proposito di dar vita a una politica modernizzatrice del Paese, laica, libertaria, federalista. Soprattutto Forza Italia e la Lega sono i cardini di questo progetto da contrapporre alla burocrazia sindacale della sinistra, ai suoi cascami ideologici, al frenetico giustizialismo con cui la sinistra stessa si era imposta.
Progetto, in particolare sostenuto da Forza Italia, ambizioso, però basato su un fatto reale: la maggioranza della società italiana voleva un Paese moderno che uscisse da quella democrazia bloccata fra la Dc e il Pci che non favoriva più lo sviluppo e l’innovazione. Era una società «nuova» a chiedere questo «rinnovamento». Il centrodestra ha dato immediate e vincenti proposte sul piano dell’iniziativa politica, ma non si è minimamente preoccupato di fornire un fondamento culturale al consenso che le veniva tributato in modo spontaneo, talvolta irrazionale, protestatario.
Cosa ha fatto il centrodestra per dare solidità culturale alla sua base sociale? Niente o troppo poco. Nei suoi cinque anni di governo, pur avendo una maggioranza schiacciante, il centrodestra ha continuato a subire l’iniziativa culturale della sinistra senza preoccuparsi di contrastarla, senza lavorare per dare forza e orgoglio culturale a quella realtà sociale che gli aveva dato fiducia.
Non c’è stato un vero impegno per formare tra i giovani una nuova classe dirigente; nelle Università i docenti e gli studenti non di sinistra - eroiche e masochistiche rarità antropologiche - sono stati abbandonati a se stessi; con i mezzi di comunicazione di massa oltre al danno si è avuta la beffa: la sinistra ha fatto passare la convinzione che fossero tutti nelle mani di Berlusconi, a cominciare dalla televisione. In realtà l’informazione è stata poco e male utilizzata per promuovere una visione culturale democratico-liberale e, per di più, da essa sono stati emarginati o distrattamente accantonati intellettuali che pur avrebbero potuto dare un significativo contributo. Ci si è consolati lamentandosi dell’aggressività dell’iniziativa culturale di sinistra e, a conti fatti, autorevoli esponenti del governo Berlusconi hanno sostenuto che il loro grande successo era stato quello di far conoscere agli italiani l’esistenza delle foibe attraverso una fiction. Contenti loro...
Un discorso a parte meriterebbe la promozione culturale gestita dalle amministrazioni locali di centrodestra, e una attenta analisi si dovrebbe fare sul caso di Milano.
Oggi il governo di sinistra ha assegnato il ministero dei Beni culturali al suo vicepresidente, segno evidente di una forte attenzione al consolidamento e all’ampliamento della propria base sociale attraverso l’iniziativa culturale sul mondo dell’informazione, dello spettacolo, degli intellettuali accademici e non. Il centrodestra non può pensare di rivolgersi alla sua base sociale solo nei momenti elettorali con una chiamata alle armi che, come si è visto, non porta ad alcun successo.

Pensi invece, oggi che è all’opposizione, di costruire un’intelaiatura culturale per la formazione della nuova classe dirigente, per essere presente in modo incisivo nell’informazione, nelle università, nell’editoria, nello spettacolo, per dare alla società l’opportunità di avere un riferimento culturale non di sinistra.

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