Roma, quando le invasioni erano veramente barbariche

È certo una coincidenza (o forse il problema è nell’aria), ma da un paio d’anni vanno di moda i «barbari»: e com’è noto i «barbari» possono indicare persone, popoli, costumi, atteggiamenti, livelli psicologici e subculturali spesso assai diversi, anche se in genere di basso livello. Io stesso in un mio libro di racconti intitolai, senza riflettere troppo, uno di essi I nuovi barbari: l’argomento era volutamente polemico nei confronti degli australiani sterminatori di canguri e di una certa sezione hobbistica dei Ds sostenitrice della caccia. Poi sono venuti I barbari di Alessandro Baricco, e una sera, accendendo come di rado mi accade, e a caso, la tv, mi sono imbattuto in un programma che si intitola Le invasioni barbariche.
Tuttavia credo che una questione «barbarica» esista davvero e che sarebbe più proprio definire feconda (come avvenne nell’antica Roma): insomma per parlare più chiaramente, la questione della massiccia immigrazione nella lunga e abbastanza dissestata penisola da noi abitata. In proposito, e con una riflessione sui modi, i tempi, e le leggi che dovranno regolare l’integrazione di tali moltitudini, non si può non ricordare quella che nel tardo impero romano d’Occidente ma anche sia pure meno traumaticamente e in limiti più ristretti, in quello d’Oriente (bizantino), portò alla formazione dei cosiddetti regni romano-barbarici.
A illuminarci su quel turbinoso periodo tardo-antico sono contemporaneamente usciti due possenti e splendidi volumi, La caduta dell’impero romano di Peter Heather (Garzanti, pagg. 517, euro 29) e Giustiniano di Georges Tate (Salerno, pagg. 1022, euro 78). Sono due testi di alto livello scientifico e di straordinaria chiarezza nell’esposizione di una materia spesso tragica e complicatissima, con un piglio rigoroso ma sostenuto da una persistente vena di scetticismo quasi si trattasse di un’opera letteraria che tenda ad esorcizzare la tragedia di eventi di sconvolgente portata: in particolare ha questo gradevole carattere il volume di Heather; si svolge invece all’insegna di una sapiente e placida ricchezza di informazioni e di problemi da risolvere, e spesso risolti dall’autore-demiurgo, il monumentale testo di Tate.
Da questi due libri esemplari, il lettore apprenderà molte cose già orecchiate, ma ora dispiegate persino a menti non aduse a confrontarsi con argomenti così spinosi e complessi. Ad esempio il fatto che le invasioni «barbariche» dei territori che avevano costituito l’ecumene dell’impero romano, furono causate, oltre che dalla consueta tendenza di popoli del nord a spostarsi anche con violenza a sud per trovarvi pascoli e agricoltura più floridi, soprattutto dalla pressione dal nord più nord di popoli ancora più «barbari» o comunque più aggressivi: quelle di cui ora stiamo parlando, dalla pressione incontenibile degli Unni di Attila provenienti dalle steppe nord-orientali.
Poi lotte per il nuovo potere, nuovi re (ricordiamo i più famosi, Teodorico, ostrogoto, e Genserico, vandalo), usurpatori, repressioni, vendette, patteggiamenti fra classi dirigenti romane e greco-romane bizantine, prima ostili poi, a volte, mescolate con i nuovi dominatori.

Ma in questo contesto come ai tempi della Roma protorepubblicana si verifica ciò che il poeta latino Orazio espresse icasticamente: Graecia capta ferum victorem coepit, cioè «la civiltà del popolo sconfitto catturò il barbaro vincitore»: in tal modo da un connubio spesso sanguinoso nasce una nuova civiltà.

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