La rottura dei finiani: «Silvio non ha più carisma»

SENZA FRENI La politologa che aveva ispirato lo «sfogo» di Veronica Lario torna a infangare il centrodestra

RomaIl Pdl soffre. E vabbè. Ma qual è il suo male? «Il problema principale è che non si vuole ammettere che il carisma di Berlusconi è finito». E come si spiegano i sondaggi da alto gradimento? «D’accordo, il popolo lo ama. Ma nel Pdl si può ancora parlare di leader carismatico? Io dico di no». Per chi non l’avesse capito, «a parte Bondi che lo ama, il suo carisma non c’è più». A furia di mettere «sale nella minestra», è inevitabile che la pressione salga oltre i limiti. Soprattutto in un momento politico così delicato, con il centrodestra chiamato a non sgarrare più d’una virgola e a muoversi in maniera compatta per vincere la sfida delle Regionali. E forse non basta più prendere solo le distanze, come avrebbe fatto in privato Gianfranco Fini, mostrando «sorpresa» e magari fastidio per la nuova analisi della collaboratrice di punta di Farefuturo: Sofia Ventura.
Già, la stessa politologa che con un suo articolo sul webmagazine della fondazione - presieduta dall’inquilino di Montecitorio - ai tempi delle candidature per le Europee («Le donne non sono gingilli da utilizzare come specchietti per le allodole, non sono nemmeno fragili esserini bisognosi di protezione e promozione da parte di generosi e paterni signori maschi», fu uno dei passaggi chiave) ispirò il «ciarpame senza pudore» denunciato da Veronica Lario. Seguì bufera mediatica sulle veline e richiesta di divorzio in casa Berlusconi. Ma questa in parte è un’altra storia.
Adesso, però, la Ventura allarga i confini. E in un’intervista all’Espresso - oggi in edicola - spara a zero sul Cavaliere e sul partito unico, dove «nessuno combatte per la causa e basta» e che «se non si consolida a prescindere da Berlusconi cadrà in mano alle cricche di potere». È l’ennesimo strappo che si registra nei pressi dei finiani. L’ennesimo pericoloso distinguo, se si prende per buono il mantra del loro leader: «Abbassare i toni e concentrarsi per ora sulla sfida elettorale di fine mese». Tanto che nel suo entourage c’è chi non nasconde l’imbarazzo: «Non ne sapevamo nulla, le sue dichiarazioni non sono state sollecitate da noi, le abbiamo lette con l’anticipazione diffusa del settimanale». Per capirci: «La professoressa non è la voce di Farefuturo».
Sarà così, visto che il malumore per i «tempi sbagliati» è diffuso anche dentro la fondazione. Fatto sta che il nuovo passo falso si lega inevitabilmente alle continue lacerazioni portate avanti in questi mesi dagli uomini vicini al presidente della Camera, pronti alla resa dei conti primaverile e spesso convinti che le loro esternazioni siano legittimate, a prescindere, dalla necessità di contribuire al dibattito interno. Non è proprio così. E non aiuta ad esempio, nella ricerca dell’agognata serenità, la presa di posizione sul «pasticcio liste», affidata due giorni fa al Riformista da Alessandro Campi, direttore scientifico di Farefuturo: «È tale ormai l’entità della posta in gioco, ma è tale il tasso di ipocrita fanatismo presente nei due schieramenti, che non c’è da meravigliarsi se il 28 marzo un buon numero di italiani deciderà di starsene a casa. Non votare, a questo punto, sarebbe un atto di civile protesta, che nessuno potrebbe biasimare». Biasimo nei suoi confronti non contemplato, però, se si chiede agli ex azzurri di commentare le sue parole: «Roba da non crederci, visto che anche Fini avrebbe come minimo l’interesse a far vincere Renata Polverini nel Lazio. Altrimenti, sai che figuraccia, altro che nuovo partito...».
Già. Ma «qualcuno lo faccia capire pure a Fabio Granata», è l’invito-provocazione di un altro berlusconiano, che non ha ancora digerito bene la sua recente chiacchierata con Andrea Camilleri, pubblicata su Micromega.

Intervista in cui il deputato finiano va giù parecchio duro, sul versante giustizia, arrivando a concordare con lo scrittore sul «sogno» di una manifestazione comune per fare piazza pulita di tutto il marcio in cui siamo sommersi. «Ed è per questo - aggiunge Granata - che noi non poniamo Berlusconi al centro del nostro agire politico». Legittimo. Ma forse anche impedimento a correre nella stessa direzione. Almeno fino al 28 marzo.

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