Saladino, il sultano "laico" che conquistò anche i crociati

Lo storico Jonathan Phillips ricostruisce vita e segreti di uno dei personaggi più mitizzati di tutto il Medioevo

Saladino, il sultano "laico" che conquistò anche i crociati

La sua statua svetta ancora davanti alla cittadella di Damasco. In groppa al destriero travolge le truppe dei «franchi» e punta deciso verso la riconquista di Gerusalemme. Questo guerriero era un simbolo - un tempo convincente, ora decisamente fuori tempo massimo - per il regime di Assad della possibilità di vincere sull'Occidente. Ma anche in Occidente Salah al-Din (1137-1193), che per noi è Saladino, ha sempre goduto di buona stampa tanto che Dante lo mette, musulmano e nemico dei crociati, tra gli spiriti magni del Limbo. Non parliamo poi dei curdi, visto che il suo clan di origine, gli Ayyubidi, veniva dal Kurdistan, essi ne hanno una vera e propria venerazione, come un'incarnazione di un islam diverso, aperto, magnanimo e tollerante. Qualche critica in più arriva solo dal mondo sciita, visto che Saladino pose termine al potere dei Fatimidi in Egitto riportando il Paese sotto il controllo sunnita. Ma contando il livello di tensione tra le due versioni dell'islam si tratta di reprimende moderate e di prammatica.

Ma come è nato il mito di questo condottiero che nel 1187 riconquistò Gerusalemme alle forze crociate dopo la grande vittoria nella battaglia di Hattin? E soprattutto com'era il vero Salah al-Din, cosa ci resta del personaggio storico sotto l'incrostazione della leggenda?

Per avere una risposta vale la pena di compulsare il corposo saggio di Jonathan Phillips appena pubblicato da Mondadori: Il sultano Saladino. Tra vita e leggenda (pagg. 544, euro 32). Phillips, docente di storia delle crociate all'Università di Londra, traccia un ritratto a tutto tondo del personaggio e lo colloca nel complesso affresco di un'epoca.

Un'epoca molto meno intransigente e polarizzata di quanto si possa immaginare, forse meno intransigente e polarizzata della nostra. Il Medio oriente era in lotta forse più di quanto lo sia adesso ma molti degli attori di questo scontro per il potere avevano un atteggiamento fluido e prammatico. Giusto per fare un esempio, il regno crociato di Gerusalemme a più riprese si trovò ad essere alleato dell'Egitto sciita per contenere le forze sunnite del primo grande mentore di Saladino, il potente condottiero turco Nur al-Din. Crociata e Jihad erano concetti molto usati dai predicatori di entrambe le religioni ma poi la politica la faceva, fortunatamente potremmo dire, da padrona. Più di una volta a poche ore da una battaglia o un assedio concluso arabi e crociati passavano subito alla continuazione della guerra con altri mezzi: il commercio e lo scambio.

Di sicuro Saladino, non se ne abbiano i cultori dell'eroe guerriero presenti in Occidente e in Oriente, ebbe come caratteristica principale proprio di essere il campione di questo pragmatismo. Entrato in Egitto con forze sunnite fu abilissimo a saldare i suoi interessi con quelli delle grandi famiglie locali e si guardò bene dal prendere di punta, almeno all'inizio, la potente componente sciita del Paese. Dal 1169 riuscì a diventare il visir dell'ultimo signore fatimide d'Egitto, Al-Adid. Quando questo morì nel 1171 Saladino privilegiò la componente sciita ma si guardò bene dal porre il Nord Africa di cui ora aveva il controllo alle dipendenze di Nur al-Din, che tanto lo aveva favorito. Con molto tatticismo si rifiutò anche di combattere con troppo impegno i «franchi» di Amalrico prima e di Baldovino IV dopo. Il regno di Gerusalemme gli veniva comodo come cuscinetto rispetto al suo ex signore, Nur al-Din, che stava a Damasco. E anche dopo la morte di Nur al-Din (nel 1174) tra i principali scopi di Saladino ci fu quello di prendere il controllo della Siria, cosa che lo portò allo scontro anche contro la famosa setta degli «assassini». Gerusalemme restava decisamente in secondo piano. Tanto per dire, ad un certo punto Saladino intratteneva notevoli rapporti con la corte di Federico Barbarossa in Germania e si arrivò a pensare a un matrimonio con una figlia dell'imperatore. Alla fine non se ne fece nulla e Federico partecipò alla terza crociata che gli costò la vita. Ma il Saladino che emerge da tutta la vicenda è un principe capace di essere «golpe e lione» come avrebbe detto Machiavelli. A differenza però di Cesare Borgia Saladino riuscì a radicare il suo Stato. Per farlo usò anche la violenza, una rivolta di truppe nubiane a Il Cairo venne sedata nel sangue con una strage tremenda, ma fu soprattutto abile ad usare la generosità. E anche le pubbliche relazioni. Per dimostrare che era impegnato nella Jihad fece circolare la voce che aveva smesso di bere vino, meglio un bicchiere in meno che una vera guerra al momento sbagliato.

I risultati della sua accortezza si vedono ancora, a secoli di distanza, nel mito che gli è rimasto cucito addosso. L'uomo è diverso dal mito, Saladino usò moltissimo le logiche del clan favorendo la sua famiglia, ma è più interessante. Soprattutto perché dimostra che la vera grandezza non è mai fanatica.

Risoluta forse, anche spietata, ma mai intransigente o inutilmente crudele. Questo Saladino lo aveva intuito, come lo aveva intuito Baldovino IV, il suo ultimo sfortunato rivale a Gerusalemme. Ma la loro lezione, in Medio oriente e non solo, è ancora poco seguita a più di 800 anni di distanza.

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