Sapeva far ridere ma prima di tutto veniva la notizia

Tremava di paura, Maurizio Mosca. Sentiva dei ruggiti bestiali, da far accapponare la pelle. Arrivavano da dietro la scenografia, dal corridoio dei camerini. Non ci voleva molto a capire che fosse una belva, tanto meno che sarebbe stato lo «scherzo» di quella puntata

Tremava di paura, Maurizio Mosca. Sentiva dei ruggiti bestiali, da far accapponare la pelle. Arrivavano da dietro la scenografia, dal corridoio dei camerini. Non ci voleva molto a capire che fosse una belva, tanto meno che sarebbe stato lo «scherzo» di quella puntata. Era così ogni settimana. Fabio Fazio lo interrogava in diretta, domande su un’improbabile indagine di mercato della Doxa. Se sbagliava (e accadeva sempre), c’era la «punizione». Gli era toccato un po’ di tutto: da cantare Non sono una signora con Loredana Bertè a un mago che voleva «ghigliottinarlo» in diretta. Si prestava, ma con qualche riluttanza.
Era il 1987, ero l’autore di Forza Italia (da non confondere con quella inventata da Silvio Berlusconi che arrivò anni dopo), la prima trasmissione sportiva, presentata da Walter Zenga, nell’involucro di uno show televisivo, un’idea del grande produttore Carlo Tumbarello (nemmeno lui c’è più) per Odeon (emittente voluta da De Mita e Tanzi: il fallimento avremmo dovuto annusarlo subito!). E quella settimana - dopo aver letto la pubblicità del Circo Orfei sui giornali - mi era venuta l’idea di «punirlo» con una tigre, vera e per giunta arrabbiatissima.
«State esagerando - ci disse Maurizio, davvero spaventato -, ogni settimana è peggio. Premetto, ho paura di quella bestia che sento ruggire e che so già me la ritroverò sul palcoscenico. Ma ho paura anche per me. Sono un giornalista e voi mi state trasformando in un pagliaccio». Carlo Tumbarello lo rassicurò con un sorriso: «Maurizio tu sei già un grande giornalista. Io voglio fare di te un personaggio». E così fu. Tigre a parte.
Era tutto vero. Maurizio Mosca era già stato il caporedattore centrale della Gazzetta dello Sport di Gino Palumbo. Uno tra i più grandi direttori della storia dell’editoria italiana, maestro grandissimo di giornalismo. E Mosca era stato per anni la «centrale» del quotidiano del severissimo ed esigentissimo Palumbo. Con il quale non si scherzava davvero.
Questo passaggio della carriera del caro Maurizio Mosca l’ho tenuto sempre ben presente, con il passare degli anni, man mano che il suo personaggio virava sempre più verso quello dello showman. L’ho ammirato negli anni successivi quando su Mediaset ha ancora di più affinato le proprie capacità di divertire il pubblico destreggiandosi tra la cronaca e la comica.
Sapeva far sorridere, talvolta addirittura ridere, Mosca. Ma, soprattutto, sapeva informare. Perché quello era stato il suo primo e vero mestiere, perché era stato allevato alla vecchia e dura scuola della notizia prima di tutto.
Ho pensato spesso a lui, in questi anni, quando mi è capitato di vedere, soprattutto nelle trasmissioni sportive, pessimi suoi imitatori.

Mezze figure da avanspettacolo (quasi sempre un po’ volgari) che interpretano malamente la figura del comico ma che sono totalmente incapaci di interpretare il ruolo del giornalista.
Anche per questo oggi lo piango.

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