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Gabriele D `Annunzio nacque a Pescara nel 1863 e dai paesaggi abruzzesi trasse ispirazione per molti suoi libri. Suo padre era un ricco proprietario terriero, commerciante di vino e prodotti agricoli, e poi sindaco della città. All'età di 13 anni viene adottato da suo zio e Gabriele prese legalmente il suo cognome: D'Annunzio.

Come poeta D'Annunzio fece il suo debutto all'età di sedici anni con Primo vere (1879). Le poesie furono ispirate dall'opera di Giosuè Carducci, Odi Barbare (1877). Nel 1881 entrò all'Università di Roma, dove partecipò pienamente alla vita sociale e culturale della capitale, e collaborò con diversi giornali, in particolare Fanfulla della Domenica, Capitan Francassa e Cronaca Bizantina.

Nel 1883 D'Annunzio sposò Maria Hardouin di Gallese, la figlia di un duca, con la quale ebbe tre figli. Il matrimonio finì però sette anni più tardi. L'infedeltà di D'Annunzio, spinse la moglie.

In questi anni D'Annunzio produsse molto lavoro al fine di sostenere lo stile di vita costoso di sua moglie e pubblicò diversi opere molto importanti. Il suo ultimo libro, Teneo te, Africa, uscì nel 1936 in Tutte Le Opere, il titolo della raccolta, che esaltava la conquista italiana dell'Etiopia.

Una nuova fonte di ispirazione trovò sostanza nella figura di Elvira Natalia Fraternali, meglio conosciuta come Barbara Leoni, che appare con lo pseudonimo di Vittoria Doni in Elegie romane (1892, scritto durante la loro storia d'amore). Barbara era una pianista. Aveva lasciato il marito, dopo poche settimane di vita coniugale. Il matrimonio l'aveva lasciata con una malattia uterina.

Le opere di D'Annunzio di questi anni, Canto novo (1882), Terra vergine (1882), e Intermezzo di rime (1883), ha espresso le gioie sensuali della vita. Nei suoi racconti risulta evidente l'influenza del famoso scrittore francese Guy de Maupassant.

Il piacere (1889, Il Bambino di piacere) fu il primo romanzo lungo di D'Annunzio, nel quale lo scrittore faceva una parodia del romanzo francese decadente del tempo e nel quale si ritrovano molti elementi autobiografici.

Opere successive di grande successo furono L'innocente (1898), il Trionfo della Morte e le Vergini delle Rocce (1896); quest'ultima riprende la filosofia di Nietzsche e la figura del superuomo.

Finita la sua relazione con Barbara, D'Annunzio ne iniziò una seconda con la principessa siciliana Maria Gravina Gruyllas di Ramacca, la moglie del conte Fernando Anguissola di San Damiano, dalla quale ebbe anche una figlia.

Nel 1893 D'Annunzio fu condannato a cinque mesi di carcere per adulterio, ma la pena fu sciolta l'anno successivo.

Il dramma La figlia di Iorio (1904) guadagnò molta attenzione ed è stato imitato con entusiasmo. La veggente, la fantasia eccitata del poeta, lo ha portato ad un nazionalismo esasperato, e in ultima analisi, nel 1920 e 1930, per il suo sostegno di Mussolini: ha visto il dittatore alla luce degli eroi mitici, che incarnano lo spirito della nazione. D'Annunzio corrispondenza con Mussolini apparve nel 1971.

Nel 1890 D'Annunzio si trasferì a Napoli, dove scrisse Giovanni Episcopo e L'innocente, pubblicato poi a puntate su Il corriere di Napoli. Dopo una lunga relazione con la contessa Gravina Auguissola, D'Annunzio ebbe rapporti amorosi con l'attrice Eleonora Duse, per la quale scrisse numerosi drammi, tra cui La Gioconda (1899) e Francesca da Rimini (1901).

Nel 1897 D'Annunzio fu eletto in Parlamento per un mandato di tre anni, schierandosi in principio con l'estrema destra, ma spostandosi poi progressivamente a sinistra. Nel 1899 D'Annunzio si stabilì nella lussuosa villa toscana, La Capponcina. I debiti accumulati negli anni, lo obbligarono a fuggire nel 1910 in Francia, vicino a Arcachon Cap Ferret. Lì iniziò una nuova carriera come scrittore; in questo periodo scrisse, tra le altre opere, Le Martyre de Saint Sébastien (1911), poi musicata dal compositore francese Claude Debussy.

Quando la prima guerra mondiale scoppiò, D'Annunzio tornò in Italia e iniziò una carriera di successo come capo militare. D'Annunzio aveva desiderato anni per la guerra, convinto che questa avrebbe avrebbe cambiato la posizione in Italia, trasformandola in seconda potenza. Tenne discorsi, scrisse articoli esortando i suoi concittadini a sostenere la causa, ed entrò in aeronautica, diventando uno degli eroi più celebri d'Italia. Nel 1916, D'Annunzio perse la vista del suo occhio destro.

La sua opera in prosa Notturno (1921) fu composta proprio quando si stava riprendendo dalla lesione.

Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene eroe nazionale partecipando a celebri imprese, quali la beffa di Buccari e il volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria e della Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare repubblica, la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo Giolitti farà cadere nel 1920.

Nel 1919, infastidito dal fatto che l'Italia aveva perso la città di Fiume, le truppe di D'Annunzio occuparono la città fino a quando non fu costretto a ritirarsi.

D'Annunzio si ritirò nella sua casa sul Lago di Garda, dove trascorse i suoi ultimi anni a scrivere. Nel 1924 fu nominato Principe di Monte Nevoso e nel 1937, dopo la morte di Marconi, è stato nominato presidente dell'Accademia reale italiana.

Individuando nell’arte l’unico valore autentico e fondamentale dell’esistenza, D’Annunzio abolisce ogni separazione fra arte e vita. Gli effetti dell’interconnessione tra arte e biografia risultano ingigantiti da un’attitudine esibizionistica e declamatoria e hanno in parte condizionato il giudizio critico sulla sua produzione letteraria. D’altra parte, è proprio grazie a questa sovrapposizione fra letterato e personaggio pubblico che D’Annunzio è riuscito a ottenere una notevole fama anche nel resto d’Europa.

Per D’Annunzio è l’arte a fornire le aspirazioni e gli ideali ai quali lo stile di vita dell’artista deve conformarsi. La sua esistenza deve infatti divenire “inimitabile” e, contemporaneamente, la vita dell’artista si pone come fonte e come oggetto di un’arte a sua volta “inimitabile”.

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