Se i magistrati giudicano in base a pregiudizi

Povero Braibanti. Crede ancora che la sua vita sia stata distrutta da un complotto della destra. E che la sentenza con cui nel '68 fu condannato per plagio a nove anni di carcere non fu un'espressione dell'ottusa omofobia dei tempi, ma della malvagità della destra. E che i giudici che lo massacrarono non volevano colpire l'omosessuale che aveva dato scandalo convivendo col suo compagno, ma il partigiano che aveva combattuto contro i fascisti in Toscana.
Queste fantasiose convinzioni credo che lui le coltivi fin dal giorno in cui la sua vita fu spezzata da un processo che resta una delle pagine più oscene della storia universale dell'infamia giudiziaria. Ma non le aveva mai espresse con la fermezza mostrata in questi giorni, quando essendosi riparlato della possibilità di aiutarlo applicando al suo caso la legge Bacchelli, qualche giornalista è tornato a intervistarlo.
Quest'uomo sventurato, che sappiamo colto e intelligente, appartenente alla non esigua famiglia delle vittime espiatorie (e che oggi vive oscuramente, stanco e malato, in due piccole stanze nel vecchio ghetto di Roma, fra pile di libri, giornali e scartafacci e sempre con l'incubo dello sfratto) non ha dunque ancora capito che la vera causa di tutte le sue sventure non fu un pregiudizio politico. Fu un morbo - l'ossessione omofobica - che non è né di destra né di sinistra. Che anzi è apparso sempre, e appare ancora oggi, molto più attivo nei regimi rossi che in quelli neri. Che comunque, ancora all'inizio degli anni sessanta, imperversava in tutto il Paese a destra come a sinistra. E che forse non manifestò mai la sua virulenza come nello stile intellettuale e morale dei magistrati che si occuparono del suo caso.
Era forse di destra la feroce idiozia che indusse quella muta linciatrice a considerare una prova del suo diabolico potere plagiatorio il semplice fatto che lui e il suo compagno, Luigi Sanfratello, fossero così uniti che per dividerli fu necessario ordinare alla polizia di irrompere nel loro appartamento e porre fine con la forza alla loro convivenza? E che li portò a vedere un'altra prova di quel potere nel piccolo termitaio con cui lui, secondo l'accusa, era riuscito a trasmettere al suo compagno il suo perverso interesse per la vita sessuale delle formiche? E che li convinse a sbattere in manicomio il povero Sanfratello sulla base di una perizia psichiatrica che come unica prova della sua supposta schizofrenia indicò tautologicamente il suo desiderio di vivere con Braibanti piuttosto che coi suoi parenti?
A Braibanti vorrei infine fare osservare che dalle ultime prodezze delle nostre procure progressiste potrebbe dedurre che, per quel che riguarda la mentalità oggi predominante nella corporazione giudiziaria, nulla in sostanza è da allora mutato. Giacché se da un lato è vero che niente di paragonabile al suo caso potrebbe accadere oggi, dall'altro è del tutto illusorio pensare che ciò sia dovuto ai progressi morali e culturali avvenuti nel Paese, e perciò anche nella mentalità della citata corporazione. Anche oggi, come allora, essa appare infatti votata a un immutabile conformismo.

Non per nulla rispecchia e cavalca i pregiudizi di oggi con la stessa fedeltà con cui rispecchiava e cavalcava quelli di ieri.
Oggi quello omofobico è tramontato. Ma ne infuriano tanti altri! Primo fra tutti l'idea che il male si trovi sempre a destra.
guarini.r@virgilio.it

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