Se non hanno l’acqua anche i preti chiamano la donna che visse due volte

Maria Anna Innocenti ha già fatto scoprire un centinaio di sorgenti a condomini, hotel e aziende agricole. A 22 anni si ritrovò "in una luce bianca"

Se non hanno l’acqua anche i preti  
chiamano la donna che visse due volte

Le prime parole che pronunciò, all’età di 2 anni, furono in realtà tre numeri che il padre Angelo, operaio, e la madre Natalina, casalinga, misero al lotto. «Il terno uscì, ma i miei vinsero pochissimo, perché erano poveri in canna e avevano giocato solo qualche spicciolo». Se sia un dono speciale, quello che ha ricevuto, non saprebbe dirlo. «Sono una donna semplice, non ho mai lasciato questo paesetto, ho le mie 60 galline, tre conigli, quattro gatti e tanto orto da zappare». Paese di castagne e vino buono, Marradi, sull’Appennino tosco-romagnolo. Ma anche di tipi strani: la madre di Dino Campana, il poeta dei Canti Orfici nato qui e vissuto tra manicomi e prigioni, s’era convinta d’aver partorito l’anticristo.
A vederla, nulla lascia presagire alcunché di irregolare nella vita di Maria Anna Innocenti, 62 anni compiuti il mese scorso, già segretaria nelle scuole medie e superiori di Borgo San Lorenzo, moglie di Flavio Sartoni, insegnante di matematica in pensione, una figlia sposata che nel 2009 le ha dato un nipotino. Eppure ci sono almeno un centinaio di persone, in giro per l’Italia, disposte a giurare che, dove arriva lei, sgorga l’acqua. La signora Innocenti è una rabdomante, dal greco rábdos (verga) e mántis (indovino). Va a titolo gratuito dove la chiamano («la considero una sorta di missione»), anche per una sfida con se stessa. Impugna dal lato più corto, 10 centimetri, due ferri a forma di «L» maiuscola, li punta paralleli davanti a sé e comincia a camminare sul terreno. Se le aste, lunghe 40 centimetri, si chiudono fino a incrociarsi, significa che lì sotto c’è una vena idrica. A che profondità, lo stabilisce con un pendolo metallico: più l’aggeggio ruota, più si dovrà perforare, grosso modo un metro per ogni giro, fino a che il pendolo non «taglia», cioè cessa il moto circolare e comincia a muoversi trasversalmente.
Pura ciarlataneria, secondo la maggioranza degli scienziati. Fenomeni paranormali, secondo altri studiosi, i quali sostengono che i movimenti delle bacchette sarebbero provocati da contrazioni involontarie dei muscoli, essendo i rabdomanti sensibili ai cambiamenti del campo magnetico determinati dalle irregolarità della crosta terrestre. Dettagli ininfluenti per la ventina di famiglie del condominio Badia del Borgo di Marradi, che sono riuscite a restaurare per uso residenziale un vecchio convento solo grazie all’autosufficienza idraulica assicurata dalla «fata dell’acqua», è così che la chiamano da queste parti. O per il distributore Tamoil, che ha potuto aprire il lavaggio per auto grazie a una condotta da 200 litri al minuto. O per Maurizio Talenti, che nel suo podere Chiesa Vecchia in località Albero ha trivellato su indicazione di Maria Anna Innocenti e ha visto zampillare una sorgente con un portata che arriva addirittura a 300 litri al minuto. O per l’agricoltore Nino Peroni, che grazie all’irrigazione ha potuto ampliare a Lutirano le sue coltivazioni di kiwi. O per Antonio Cannata, scetticissimo imprenditore romano di Torrita Tiberina che aveva inutilmente consultato i geologi e, grazie ai tre pozzi fatti scavare dalla rabdomante, ora ha aperto un’azienda agricola. O per la zona commerciale sorta intorno al casello autostradale di Barberino del Mugello. O per il villaggio turistico I Cancelli di Palazzuolo sul Senio. O per don Domenico Monti, parroco a Villanova di Bagnacavallo, che conosce sicuramente le vie del cielo ma per il sottosuolo della sua casa di villeggiatura ha preferito affidarsi alla sensitiva ed è stato premiato. E così pure per aziende e privati delle province di Firenze, Bologna, Rimini, Grosseto, Forlì, Ravenna.
Ma poi, parlandoci insieme, si scopre che qualcosa di anomalo dev’esserci nell’albero genealogico della signora Innocenti, anche se lei è riluttante ad approfondire l’argomento. «Un giorno mia bisnonna e mia nonna trovarono alcune monete antiche sulle scale di casa. Presumendo che fossero cadute dall’alto, salirono in soffitta per spostare uno strano sasso che sporgeva dal muro. Mentre scalpellavano, furono assalite da un grosso pipistrello e si sentirono male. I mariti, di ritorno dal mercato, le rinvennero prive di sensi sul pavimento. Udito il loro racconto, gli uomini vollero proseguire lo scavo per rimuovere il sasso: dietro trovarono uno spazio vuoto con un mucchietto di cenere. Qualche tempo dopo alla mia bisnonna morì un figlio di 16 anni. Di morbillo: allora poteva accadere. Un giorno, mentre pregava, udì la voce del defunto che le diceva di non piangere, perché si trovava in un luogo dove stava benissimo. Come prova le lasciò sulla panca un fiore bianco dal profumo intenso e soave; un fiore mai visto prima, tanto che fu portato da un botanico di Firenze, il quale non seppe classificarlo neppure consultando le più antiche raccolte di vegetali».
Lei stessa è stata protagonista di alcune esperienze che non rievoca volentieri e che non riesce a spiegarsi. «Come quella volta che stava cercando l’acqua a cielo aperto con un pozzaiolo a Martino in Gattara, frazione di Brisighella, e all’improvviso si “vide” fra gli scheletri dentro una catacomba buia. Perse completamente la memoria per un giorno e mezzo», interviene ancora scosso il marito. «Non ricordava né la sua identità né il luogo dov’era stata. Fui costretto a portarla al pronto soccorso del 118 di Marradi. O quella volta che a 22 anni morì». Ma questa è una storia da lasciar raccontare a lei.
Morì?
«A 20 anni, mentre andavo a cavallo, mi capitò una crisi di tachicardia parossistica. All’improvviso il cuore cominciò a battere 200 e passa volte al minuto. Neanche la digitale riusciva a rallentarlo. Andò avanti così per tre giorni. Il cardiologo disse a mia madre: “Si faccia coraggio. In questi casi 99 muoiono e uno si salva”. Mi salvai. Da allora la mia vita fu costellata di crisi, con quattro o cinque ricoveri in ospedale. Finché a 22 anni fui portata d’urgenza alla clinica San Pier Damiani di Faenza. Venne chiamato a consulto, dall’ospedale Sant’Anna di Ferrara, il professor Antonio Masoni, un luminare della cardiologia che in Congo aveva conosciuto il premio Nobel per la pace Albert Schweitzer nell’ospedale di Lambaréné e che è morto nel luglio scorso a 90 anni. Scosse la testa. Dopo qualche ora apparivo cadaverica. “Avevi gli arti superiori e inferiori completamente ghiacciati”, mi raccontava mia madre. Io ricordo solo che mi trovai in una situazione di totale benessere».
Cerchi di spiegarsi meglio.
«Ero dentro una nuvola di ovatta soffice e calda, dalla quale filtrava un’intensa luce bianca. Sentivo le voci della mamma e degli infermieri e gli schiaffi dei medici sulla faccia e pensavo: io qui sto bene, perché mi fanno così? Ma l’insistenza dei richiami mi fece capire che dovevo tornare indietro».
E d’essere in grado d’esercitare la radiestesia come l’ha scoperto?
«Una ventina d’anni fa acquistammo questa casa colonica. Avevamo un po’ d’acqua solo d’inverno e in primavera. Perciò decidemmo di scavare un pozzo. Dopo molte peregrinazioni, ci fu indicato un radbomante di Prato. Costui venne con le sue bacchette e ordinò: “Scavate qui”. Incuriosita, gli chiesi se faceva provare anche a me. Come per incanto, nello stesso punto anche in mano mia le due stecche subivano un’oscillazione fino a sovrapporsi. Mio marito, incredulo, cercò altri due rabdomanti, uno dei quali era un prete. Non gli dicemmo che un loro collega li aveva preceduti. Indicarono lo stesso luogo. Perciò mi convinsi d’avere le loro stesse capacità e cominciai a studiare».
Che cosa studiò?
«Elementi di radiestesia, un volume scritto da Pietro Zampa, ingegnere di nobile famiglia forlivese, nato a Bologna nel 1877, che negli anni Venti progettò e diresse i lavori di posa dei cavi telefonici sotterranei e sottomarini in Liguria, Toscana, Calabria e Sicilia».
Il pendolino da chi l’ha ereditato?
«Non è uno strumento così importante. Per chi possiede la mia sensibilità basta anche un crine di cavallo».
Solo Edoardo Vianello potrebbe recuperare un crine di cavallo uscito dal paltò.
«Qui in campagna è pieno di crini di cavallo. Se ne prende uno, lo si fa passare dentro la fede matrimoniale ed ecco ottenuto un pendolino».
Perché le sue prospezioni sono così importanti?
«Ha idea di che impresa sia scavare un pozzo? Servono i permessi di Regione, Provincia, Comune e Guardia forestale. Ci vogliono 100 euro per ogni metro di perforazione. Aggiunga le spese per la pompa idraulica e per la tubatura, che può essere in acciaio inox o in polietilene».
A che profondità si deve arrivare?
«Si va dai 50 ai 200 metri».
Forse basta scendere con la trivella e alla fine l’acqua si trova sempre.
«E allora perché avrei fallito nell’individuazione di tre falde acquifere qui a Marradi, a Brisighella e a Settignano? Il più grosso dispiacere della mia vita. Ero così vanitosa, così sicura di me stessa... Eh, ma i pozzaioli me lo dicevano: “Non fare la prima della classe, sbaglierai anche tu prima o dopo”. Purtroppo è capitato. Quando nel sottosuolo c’è uno strato d’argilla, il rabdomante lo percepisce come se fosse acqua. Comunque scendere oltre i 300 metri sarebbe diseconomico: lo scavo si paga comunque, anche se non viene trovata l’acqua, e se la perforazione ha successo il prezzo sale. Fra l’altro a quella profondità si trova un’acqua fossile, morta, sgradevole al palato».
Conosce James Randi?
«No. Chi è?».
Un divulgatore scientifico canadese famoso per aver messo in palio un milione di dollari destinato a chi dimostri scientificamente di possedere capacità paranormali. È ospite fisso di un programma televisivo trasmesso da molti canali statunitensi, intitolato Bullshit!, stronzate. Per conto di Piero Angela, che conduceva Indagine sulla parapsicologia, nel 1978 esaminò quattro rabdomanti a Formello, nella campagna di Roma, dopo aver interrato tre tubi a 50 centimetri di profondità in un’area di 10 metri quadrati. Nessuno dei quattro vinse il premio.
«Senta, io posso parlare solo per me e le dico questo: ad aprile dell’anno scorso, qui a Marradi, gli operai della Hera stavano per ribaltare tutta la pavimentazione antica in pietra serena di via Fabbroni nel tentativo d’individuare una falla nell’acquedotto. Cercavano senza successo con un geofono dotato di sonda e cuffie in grado di captare i rumori più profondi. Passavo di lì per caso e mi sono incuriosita. Ho detto loro: scavate qui. Hanno rimosso solo due mattonelle, trovando subito la perdita, 160 metri cubi di acqua al giorno che allagavano le cantine. Be’, lo sa che il tecnico della Hera, fotografato accanto a me sulla Nazione a conclusione dei lavori, ha rischiato il licenziamento? I suoi superiori l’hanno accusato di superstizione».
Ma questo dono, chiamiamolo così, come mai sarebbe stato dato proprio a lei? E da chi? Ha cercato almeno una risposta a queste due domande?
«Non credo di avere doti soprannaturali. Accetto quello che mi capita: trovo l’acqua così come so fare l’orto, le torte, la maglia, la mamma, la nonna. È una capacità antica che credo possiedano in molti. Solo che l’abbiamo voluta perdere a vantaggio della tecnologia».
Lo sa che l’uso della «verga divinatoria del pendolo» fu ritenuta da padre Gaspard Schott, gesuita tedesco vissuto fra il 1608 e il 1666, «superstizioso o piuttosto diabolico».
«Non capisco. Nella Bibbia c’è scritto che gli ebrei in fuga dall’Egitto rimproveravano Mosè perché li aveva portati nel deserto a morire di sete. E che fece Mosè per ordine di Dio sul monte Sinai? Batté il suo bastone su una roccia dalla quale subito zampillò l’acqua».
Se considera la rabdomanzia una missione, perché non va a scoprire l’acqua in Africa?
«Mi hanno invitata più volte. Col mio cuore matto non me la sento di affrontare un viaggio del genere. Però ho donato a don Pasquale Poggiali, un missionario di Borgo San Lorenzo che vive in Costa d’Avorio, anelli e collane che talvolta mi vengono regalati quando individuo un pozzo».
Non si fa pagare, ma qualcosa riscuote.
«Pensa che lo faccia per interesse? Allora le racconterò un aneddoto. Si fa vivo il titolare della Locanda del Ponte di Monticiano, un elegante hotel vicino a Siena, e mi dice che ha grossi problemi di approvvigionamento idrico, tanto che alcuni clienti inferociti hanno chiamato i carabinieri. Il 15 settembre 2003 mi viene a prendere a Firenze un suo dipendente. Faccio le mie ricerche e indico il punto dove scavare; l’acqua fu poi trovata a poca profondità, mi sembra sui 50 metri. Nel pomeriggio l’albergatore mi porta a ispezionare anche un altro terreno per la ricerca di acqua calda termale, ma io gli suggerisco di contattare i geologi. Come ringraziamento per la giornata persa ebbi in dono una colomba pasquale Motta».
Che cos’ha capito della battaglia a suon di petizioni contro la privatizzazione dell’acqua?
«Poco. So che la rete idrica italiana è in condizioni pietose: il 40% dell’acqua va perso prima che arrivi a destinazione. Mi pare che occorrano 60 miliardi di euro per sistemare questo colabrodo. E dove la trova lo Stato una cifra simile, se non fa entrare nell’affare i privati che ci mettono i capitali?».
Per non sprecare l’acqua, Fulco Pratesi evita di tirare lo sciacquone ogni volta che va al gabinetto, si fa il bagno solo il sabato e tiene la stessa camicia per tre giorni. Maria Grazia Francescato il bagno se lo fa spesso, ma poi con la stessa acqua annaffia le piante. Lei che cosa pensa degli ambientalisti?
«Ambientalismo è una parola che copre molti interessi e anche molte sciocchezze. Vorrei vedere come reagirebbero gli ecologisti se vivessero su questi monti, dove i lupi sono tornati a fare strage di greggi».


Crede che l’acqua un giorno finirà?
«Se finisce l’acqua, finisce il mondo».
Infatti pare che debba finire.
«Allora finirà anche l’acqua».
(515. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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