La Serbia in crisi «vende» il boia di Srebrenica

L’hanno trovato nella solita casa di campagna. Quella dove l’avevano già cercato altre due volte. Con un’unica differenza. Stavolta non volevano farselo scappare. Che Ratko Mladic, il boia di Srebrenica fosse un latitante in vendita lo si sapeva. Ma a decidere il prezzo della consegna alla Corte internazionale dell’Aja è stata, probabilmente, la devastante crisi economica abbattutasi su Belgrado. Una crisi che rischiava di mettere in ginocchio il presidente Boris Tadic e costringerlo a concedere un elezione anticipata dagli effetti devastanti per il governo. Sbarazzandosi del boia di Srebrenica la Serbia e il suo governo si conquistano invece il diritto d’entrata in Europa e i connessi benefici economici. L’arresto dell’ex generale era infatti la «conditio sine qua non» per l’adesione all'Unione europea posta dal Consiglio dei 27.
Non a caso il primo pensiero di Tadic, subito dopo la conferma della cattura, va proprio ai nuovi amici di Bruxelles. «L’operazione che ha portato all’arresto di Mladic – spiega il presidente in una conferenza stampa - rende il nostro Paese più sicuro e più credibile. Sono fiero del risultato raggiunto... adesso per la Serbia le porte dell’Ue sono aperte».
Mentre Tadic parla Ratko Mladic attende in prigione l’estradizione verso l’Aja. La sua parabola di grande ricercato si chiude all’alba di ieri quando una squadra di agenti dell’intelligence di Belgrado, appoggiati da colleghi della Cia e dell’MI6 britannico, fa irruzione in una casa di Lazarevo, un villaggio della Voivodina, ottanta chilometri a nord est di Belgrado. Non è una casa sconosciuta. In passato i cacciatori di Mladic hanno già bussato due volte alle porte di quella modesta abitazione di contadini a due passi dal confine rumeno. Stavolta Ratko non fa in tempo ad andarsene. Quando entrano è ancora nel letto, mezzo addormentato. L’unica stentata difesa è provar a spacciarsi per un fantomatico Milorad Komadic. Un tentativo quasi ridicolo. Il volto e il fisico sono indiscutibilmente i suoi. E anche quel nome inventato è solo un parziale anagramma ricavato dalle generalità autentiche. A risolvere i pochi dubbi bastano gli esami del Dna che confermano in poche ore l’identità del boia di Srebrenica.
La scommessa del presidente Tadic è però tutt’altro che vinta. I benefici economici garantiti a Belgrado dai futuri partner europei potrebbero non bastare a lenire il malcontento di un’opinione pubblica serba che continua a considerare il generale un sincero patriota. Stando a un sondaggio - commissionato dalla stessa Corte internazionale dell’Aja - almeno il 40 per cento dei serbi continua a definire un eroe il comandante accusato di aver ordinato, dopo la conquista di Srebrenica nel 1995, l’eliminazione di 8mila musulmani bosniaci. E il 78 per cento degli interpellati per lo stesso sondaggio si dichiara contrario a fornire qualsiasi informazione utile per la sua cattura. Un atteggiamento assolutamente analogo a quello riscontrato ieri nel villaggio di Lazarevo. Lì i pochi abitanti disposti a parlare con i giornalisti sottolineano che non avrebbero mai denunciato il generale in fuga.
Del resto il segreto dei tre lustri di latitanza è anche l’indissolubile legame di lealtà e fedeltà tra il generale e la sua schiera di fedelissimi. Non a caso durante una trattativa segreta per la propria consegna svoltasi qualche anno fa Mladic avrebbe chiesto un compenso di 5 milioni di dollari da distribuire tra i propri familiari e le proprie guardie del corpo. Ma a garantire cotanta inafferrabilità non bastava certo un manipolo di rudi veterani. A vegliare su di lui c’erano anche molti generali dell’esercito e dei servizi segreti pronti a tutto pur di non permettere la consegna del generale ricercato per genocidio e crimini contro l’umanità. Grazie a quelle protezione discrete e potenti Mladic continuava a muoversi dentro e fuori il paese. Nel 2002 un giornalista della Bbc si ritrova malmenato e brutalmente allontanato da una villa nel cuore di Belgrado da dove ogni giorno esce un uomo identificato da molti vicini come il boia di Srebrenica. Nel 2008 un filmato girato in una località di montagna lo riprende durante una passeggiata nella neve in compagnia della nuora e della moglie Bosiljka.

E per 16 anni i suoi vecchi compagni d’armi continuano a raccontare di quel fantasma sempre pronto a far capolino per celebrare con una bevuta di «rakia» compleanni, matrimoni e funerali. Ma d’ora in poi a brindare saranno solo le sue vittime.

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