La sfida di An a San Babila "Silvio non ci emarginerà"

A Milano manifestazione nella piazza della svolta di Berlusconi: "Non ci sciogliamo in un gazebo". Malumore fra i dirigenti: "Altri presto con Storace"

La sfida di An a San Babila "Silvio non ci emarginerà"

da Milano

Per capire l’aria che tira, nella piazza San Babila che Alleanza nazionale prova a riconquistare e in quel che resta della Casa delle libertà, basta ascoltare i colonnelli di An alla fine della manifestazione milanese: «In piazza c’erano settecento persone. Anzi no, ottocento. Il picco si è toccato quando ha parlato La Russa: c’erano mille persone ad ascoltarlo. E noi non vogliamo far paragoni, per carità, fateli voi... ma una settimana fa, per Berlusconi, ce n’erano quattrocento. Solo che erano tutte ammassate e sembravano di più. E non pioveva come oggi».
Dietro l’opinabile contabilità - a occhi meno partigiani i militanti di An in piazza San Babila non sono sembrati più di quattrocento - c’è il senso della manifestazione di An. Non tanto una prova muscolare, quando una dichiarazione di resistenza e un rifiuto di annessioni. Mitigati da richiami all’unità del centrodestra. E dai primi messaggi distensivi indirizzati a Berlusconi: «Non vogliamo fargli la guerra, non mettiamo in discussione la sua leadership, chiediamo di rispettare la nostra identità».
Da Roma sono arrivati il portavoce Andrea Ronchi («An c’era, c’è e ci sarà sempre, non si scioglie come neve al sole») e l’ex ministro Gianni Alemanno («Berlusconi sappia che non ci facciamo emarginare») per dar manforte a Ignazio La Russa («Non entriamo in un partito via fax»), alle prese con le fibrillazioni del partito in Lombardia.
Il luogo è simbolico: la piazza più «a destra» di Milano, espropriata una settimana fa da Berlusconi con il «comizio del predellino» in cui ha sciolto di fatto la Casa delle libertà. «Momento difficile», ammette La Russa, ideatore della manifestazione «proprio nel momento più caldo», qualche giorno fa, quando c’era bisogno di reagire e di serrare i ranghi.
La tensione si avverte anche tra i militanti. I più baldanzosi non risparmiano parole di fuoco a Berlusconi («La smetta di fare l’asso pigliatutto»), ma prevale lo spirito unitario. E i toni dei comizi, come delle opinioni registrate sotto il palco, raramente sono polemici. I bersagli sono per lo più Storace e la Santanchè.
La strada è stretta, il rischio di isolamento alto. È il momento di farsi sentire, ma non di provocare rotture irrimediabili. «Vogliamo costruire una nuova Casa - dice La Russa - con meno sale da pranzo e più sale riunioni». Per questo, la strategia si muove su due fronti: mobilitazione di piazza fino alla conferenza nazionale a febbraio, iniziative politiche per giocare la partita della riforma elettorale.
Dopo la ritrovata sintonia con Pier Ferdinando Casini sancita dalla lettera a quattro mani «contro il populismo», lo stato maggiore di An saluta con sollievo l’intervista di Umberto Bossi a Repubblica, critica nei confronti del Cavaliere. «Non ce l’aspettavamo - spiegano - dice quello che pensiamo anche noi». Insomma dà una grossa mano a Fini per rintuzzare l’offensiva di Berlusconi. «Bossi si rivela un grande animale politico», sospira Ronchi.
In un momento in cui i contatti - personali e politici - tra Fini e Berlusconi sono azzerati e i dirigenti di An e Forza Italia non perdono occasione per stuzzicarsi, l’asse con la Lega può risultare prezioso. Sintomatico il richiamo di La Russa a ritrovare «lo spirito di Gemonio», dove i leader a settembre avevano stretto un patto sulla legge elettorale. Ormai dimenticato.
«Niente inciuci con la sinistra» e «difendiamo il bipolarismo» sono le parole d’ordine che animano la manifestazione. Quanto alla legge elettorale, «del modello tedesco non se ne parla neanche», spiega Ronchi. Il timore è un sistema senza alleanze blindate, che emargini An e riapra la prospettiva di grandi coalizioni o di un «grande centro», evocato da Alemanno come lo spettro di una «nuova Dc».
Piuttosto, meglio far saltare il tavolo e andare al referendum. Che costringerebbe Berlusconi a scegliere le alleanze prima delle elezioni. Non a caso, tra i dirigenti sul palco di piazza San Babila, si rivede Diego Masi.

Fedelissimo di Mario Segni, nel ’95 sfidante di Formigoni in Lombardia, poi sottosegretario con D’Alema, ora guida il comitato referendario a Milano.
E qualcuno, riconosciutolo, scherza: «Non vorremo mica rifare l’elefantino?».

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