Silvio e Gianfranco, spiriti inconciliabili anche per Freud

Dovendo usare un po' grossolanamente gli archetipi della psicologia analitica junghiana bisognerebbe dire che Berlusconi è un puer aeternus, cioè un eterno bambino in azione. Fini invece è il suo esatto contrario, un senex precox, vecchio precoce. È difficile quindi che possano andare d'accordo a lungo: lo dico senza offesa.
Berlusconi, oltre i settant'anni conserva la struttura psicologica dell'eterno adolescente, ama il movimento creativo, privilegia ancora l'azione gioiosa e giocosa e talvolta l'ingenuità rispetto alla virtus politica della prudenza. L'ormai quasi cinquantottenne Fini invece è un po' nato vecchio. Ha dovuto crescere prudente sotto l'ala del segretario del Msi, Giorgio Almirante e signora, indossare la grisaglia doppiopetto Lebole, responsabilizzarsi e disciplinarsi da subito.
Questa tipologia psicologica si riverbera sui rispettivi caratteri: Berlusconi è un estroverso extratensivo, cioè esprime all'esterno i propri conflitti interiori. È inesorabilmente trasparente, dividendo immediatamente tutti quello che lo conoscono: o lo si ama o lo si odia, e dev'essere così fin dagli anni del liceo. Viceversa Fini è un introverso intratensivo: lo si vede anche da come si muove e dai suoi gesti. Tiene le emozioni dentro: è un realista compresso, ricorda il lungo bronzetto de «L'ombra della sera», il reperto etrusco del Museo di Volterra, un'immagine rigida e un po' malinconica. Mentre Berlusconi è vitale, dionisiaco, orientato verso l'euforia: potrebbe essere una statuetta pompeiana del buon augurio.
Un paragone nelle simbologie enologiche? Berlusconi è petillant come lo champagne o certi prosecchi italiani; Fini è tannico come un barbera barricato, anzi essendo emiliano potrebbe assomigliare a un lambrusco, ora con qualche punta di acido di troppo.
Arriviamo a un'altra differenza fondamentale: Berlusconi è profondamente milanese e brianzolo, appartiene alla Lombardia di Craxi, Bossi, Turati, Pirelli, Falck, ma anche Don Giussani e Carlo Borromeo. Un cattolico liberale con gli elementi di gioiosa e fattiva trasgressività connessi. Al contrario Fini rimane terrignamente bolognese, come Bersani, Prodi o Casini. È un laico moralista, spesso doppiopesista e anche antropologicamente non sorprende che tenda a sbandare a sinistra, pur se fino a quindici anni fa era il capo dell'Msi, il partito neofascista. E Berlusconi dovette farsi appioppare l'epiteto di «cavaliere nero» solo per averlo sostenuto come ipotetico sindaco. D'altra parte i fascisti Mussolini e Bombacci furono socialisti, il nonno di Fini fu militante comunista, il padre socialdemocratico e lui rimane un laicista del pensiero unico politicamente corretto. Filosoficamente la sua categoria è la legge, mentre quella di Berlusconi è lo spirito vitale.
Per non parlare poi della fisiognomica: non certo Lombroso, bensì Kretschmer e i suoi biotipi. Berlusconi fisicamente è un brachitipo al quale psichicamente corrisponde l'euforico: un genio, un monstrum nel senso latino del termine, spesso contemporaneamente iperattivo e meticoloso, vede ogni ostacolo come superabile, volge al successo ogni sfida e fa prevalere spesso profeticamente il principio del piacere su quello di realtà. Potrebbe cadere solo per una mancanza di attenzione ai dettagli, ma proprio per questo analizza tutto personalmente e iper razionalmente. Non ho mai visto nessuno rimanere sveglio fino alle 4 del mattino, facendo crollare giovani con quarant'anni di meno, magari per decidere il colore di un manifesto.
Fini è invece il classico longitipo astenico, caratterizzato da scissioni e qualche malinconia aggressiva. Frustrato dalla dimensione dell'eterno secondo, del delfino, rischia di finire in carpione a forza di stare ad aspettare come il principe Carlo d'Inghilterra, oppure di subire il destino dei tonni nelle tonnare. La terza ipotesi è di trasformarsi in squalo mordendo la mano che lo ha nutrito. Fare il presidente della Camera rischia di produrre la «sindrome Pivetti», che occupò la stessa poltrona e cadde vittima d'un meccanismo mimetico: una curiosi simbiosi subalterna al presidente della Repubblica: allora Scalfaro, oggi Napolitano. D'altra parte la prima e la terza carica dello Stato sono figli della stessa cultura, antitetica a quella di Berlusconi, uomo di lavoro e d'impresa: quella dei politici di professione, seppure uno ex fascista e l'altro ex comunista.
I rischi psicopatologici del presente sono opposti nei due personaggi: Berlusconi un po' solo e orfano della famiglia, almeno sul versante coniugale, deve guardarsi da qualche switch malinconico; Fini invece ha recentemente cambiato partner, una giovane compagna che gli ha dato due figli. Si trova quindi in una fase testosteronica della sua vita, con la tendenza a duellare un po' come fanno i cervi in amore più di quanto la ragione e la storia non suggeriscano. È qui il caso di dire cerchez la femme: non dimentichiamoci la famosa frase dello scrittore García Márquez: «Dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna», e viceversa... O nella vita si è condannati a rimanere soli in assenza di un partner capace di reggere la parte: un po' com'è avvenuto al presidente del Consiglio. Se Elisabetta Tulliani, compagna di Fini, sia una grande donna, lo deciderà la storia: ai posteri l'ardua sentenza. Non mi permetterei di esprimere nulla in merito.

Ma dal punto di vista della fenomenologia etologica, l'ex leader di Alleanza nazionale è come un cervo adulto che si confronta con un giovane combattente in amore. Insomma colpisce da tutti i lati per conquistare spazio e territorio a costo di fare e farsi male.

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