La sinistra fa 10 domande a Di Pietro

I giustizialisti di Micromega, vicini a De Magistris, mettono sotto processo il leader su legalità, coerenza e democrazia interna. Intanto il partito si spacca e Tonino è costretto ad "aprire" al Pdl. Dì la tua sul blog

La sinistra fa 10 domande a Di Pietro

Siamo al redde rationem tra dipietristi? Una cosa è certa: con almeno un anno di ritardo anche la sinistra filodipietrista di Micromega si è accorta che nel partito di Di Pietro qualcosa, molto, non va affatto bene. In più, aggiungici il gioco di sponda, non molto limpido, con De Magistris, l’anti-Di Pietro dell’Idv, e la frittata è fatta. Mentre Tonino si sbraccia per dire che con l’altro ex pm è solo amore (manca solo che vadano a letto insieme, ha precisato Di Pietro), che non c’è nessuna scissione in atto, che chi se ne va è un traditore e fa bene ad andarsene perché «non rispetta il programma», l’ala che guarda a De Magistris lo piccona a ritmo continuo. Prima le sferzate dell’amico Beppe Grillo, elettore di De Magistris, poi la fronda via web e non solo lì, poi gli articoli su Micromega, ora le dieci domande a Di Pietro, sempre sul mensile del filosofo già marxista Flores D’Arcais. Risponderà a queste domande Di Pietro, visto che a quelle del Giornale (almeno due dozzine) non ha mai risposto? Sì, lo ha fatto laconicamente ieri, dicendo che il partito si è «aperto» perché la classe dirigente «verrà eletta, al congresso Idv di febbraio». Questione tutta da vedere, in verità.
Intanto Di Pietro ha un’altra grana, in un momento non certo tranquillo della sua carriera di leader, visto che ogni settimana deve registrare dimissioni e fughe, anche di ex fedelissimi. In Molise, nel suo Molise, scappano in quaranta, tra dirigenti e funzionari dell’Idv, tra cui l’ex candidata (prima dei non eletti) in Europa, Erminia Gatti, il coordinatore dei giovani dell’Idv Andrea Romano, già pupillo di Di Pietro, e l’amico storico Peppino Astore, senatore eletto con l’Idv e nuovo acquisto del gruppo Misto. «Nell’Idv manca un progetto politico - ha scritto Astore nella lettera d’addio a Di Pietro -. Da un lato si invoca il rispetto dei principi mentre dall’altro si ricerca ogni volta motivazioni e argomentazioni per aggirarli». Detto dall’ex braccio destro di Di Pietro in Molise fa un certo effetto, anche se il leader reagisce come sempre: volete andarvene? Meglio così, anzi, «perché non parliamo dei duecento che, invece, in queste settimane sono venuti da noi?».

Ma il problema rimane, eccome. Forse per questo, paradossalmente, Di Pietro stretto tra il pressing della sinistra girotondina e il partito che si spezza, «apre» (con molte virgolette) al nemico. «Su lavoro e disoccupazione siamo pronti a lavorare col governo - ha detto ieri a una tv locale di Milano -. Anche sulla giustizia. Sono stato il primo a dire che non funziona e va riformata. I processi sono troppo lunghi, ho presentato 21 disegni di legge su questo». Via libera alla riforma della giustizia del Pdl, da Di Pietro? Non scherziamo, però anche questa millimetrica apertura fa effetto.

Ma torniamo a Micromega e alle sue dieci domande (un numero magico ormai in politica). I due compilatori del decalogo sono simpatizzanti dell’Idv in salsa grilliana, Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso dalla mafia, e Andrea Scanzi, giornalista. Per la verità alcune domande sono retoriche. Come quando si chiede se nell’Idv, finora raccoglitore di delusi e riciclati, verrà mai il tempo dell’appartenenza. O come quando si domanda se «il processo avviato per fare veramente diventare Idv il partito della Giustizia, della Legalità, della Società Civile proseguirà e arriverà a compimento». Più insidiose le questioni sullo zoppicante codice etico interno, che esclude la candidabilità dei condannati, ma solo con sentenza definitiva, perché altrimenti potrebbe diventare un problema anche per loro. Poi il caso di Amerigo Porfidia, deputato, indagato «non per il 426 bis, ma per un “banalissimo abuso d'ufficio” come sindaco», dice Di Pietro, è il motivo per un’altra domanda dei micomeghisti: non potremmo fare a meno, caro leader, di chi è indagato anche solo per «banalissimi abusi d’ufficio»?. Il trasformismo di molti parlamentari del partito, la diarchia di due ex magistrati, l’ossessione anti-Berlusconi come unica linea politica, la poca democrazia interna, i candidati vip delle Europee come specchietto per le allodole: tutte domande che adesso, con lieve ritardo, disturbano anche le filosofiche notti di Flores D’Arcais.
Non, però, quelle di Di Pietro. Almeno a parole. Ieri il leader ha fatto ancora la voce grossa, annunciando referendum contro il nucleare (l’ambiente è l’ultima scoperta di Di Pietro) e spiegando di non porsi «limiti» per le prossime regionali, che tenterebbero anche lo stesso Di Pietro, come candidato in Lombardia, «se ci fossero le condizioni». Ma siccome le condizioni non ci sono, si guarda ai voti e alle pedine da muovere (l’ex leghista Alessandro Cè a Brescia).

Alle regionali di primavera Tonino aspira a diventare nientemeno che «un punto di riferimento per chi è stanco dei soliti partiti: 8%, 10%, 15%. Non poniamo limiti». Ma per ora i limiti glieli pongono gli altri, i suoi prima di tutto.

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