Hanno provato in tutti i modi a negare i loro legami con l’affare Unipol. I capi dei Ds hanno finto di non avere nulla a che fare con l’intreccio di spregiudicate operazioni finanziarie di cui si era resa protagonista la compagnia d’assicurazione delle Coop. Ma sulla scena del delitto ci sono le loro impronte. Si era già capito nel gennaio dello scorso anno, quando Il Giornale pubblicò alcuni stralci di una conversazione tra Giovanni Consorte, il presidente di Unipol, e Piero Fassino. La frase del segretario della Quercia («Allora, abbiamo una banca?») rivelò quello che i diessini hanno sempre negato, ossia il gigantesco conflitto d’interessi tra il primo partito della sinistra e il braccio finanziario delle Coop. E ora che anche le altre telefonate sono pubbliche, appare evidente che i Ds erano direttamente coinvolti nella scalata alla Bnl. Nicola Latorre, senatore e braccio destro di Massimo D’Alema, telefonò a Consorte quasi ogni giorno per essere informato sugli sviluppi dell’operazione borsistica. Lo stesso vicepremier chiamò e riferì di contatti che dovevano servire ad agevolare l’assalto alla Banca nazionale del lavoro. D’Alema parlò con un imprenditore per capire se avrebbe fatto parte della cordata, saggiò il terreno con le banche, esultò e spronò Consorte ad andare avanti: «Gianni, facci sognare. Vai!». Dai colloqui emerge che politici e banchieri agivano di concerto, lavoravano allo stesso piano: un progetto che non prevedeva né trasparenza né separatezza delle funzioni.
La Quercia ha scelto di minimizzare: nessun reato, solo conversazioni private senza valore. Ma nonostante il basso profilo, alcune dichiarazioni tradiscono il nervosismo. Fa un certo effetto sentire che «il tribunale di Milano si è trasformato in una sorta di circo mediatico illegale nel quale il nostro sistema di garanzie è stato travolto da una farsa indecorosa». A colpire non è la frase in sé, ma chi l’ha pronunciata: Guido Calvi, senatore dei Ds e storico avvocato del Pci. Dopo aver cavalcato per anni il giustizialismo al fine di eliminare gli avversari politici e il leader dell’opposizione, la sinistra si trova nell’imbarazzante condizione di dover rispondere nelle aule di giustizia del proprio operato.
I Ds vorrebbero liquidare in fretta il caso, così come Visco tentò di liquidare gli ufficiali della Guardia di finanza che coordinarono le intercettazioni rese pubbliche ieri. Ma a valutare se quelle conversazioni non hanno nulla di penalmente rilevante, come si sono affannati a dichiarare ieri alcuni onorevoli della Quercia e i loro compagni d’avventura, saranno i giudici. Certo, leggere che il vicepremier avvisò Consorte di «stare attento alle conversazioni telefoniche e di preferire i contatti personali» fa pensare che non tutto fosse limpido nei rapporti tra l’ex capo dell’Unipol e gli uomini del Botteghino. Così come fa riflettere sapere che i Ds erano a conoscenza di dettagli della scalata che non erano noti al mercato e neppure agli organi di vigilanza. Soprattutto dopo la brusca rimozione del generale Speciale, destituzione su cui ora la Corte dei conti vuole vederci chiaro.
Di fronte a ciò Veltroni & compagni ieri non hanno saputo fare altro che scagliarsi contro la fuga di notizie. Quando i verbali finivano sui giornali prima che nelle mani degli indagati la sinistra gioiva. Ora che le indagini lambiscono i suoi uomini invoca leggi-bavaglio.
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