«Sono l’onorevole più giovane ma ora non mi telefona nessuno»

Arturo Scotto, napoletano, ds, è stato eletto alla Camera a 27 anni ed è nella commissione Difesa. «D’Elia? Un errore candidarlo. Caruso? Un amico»

Appena entriamo nel suo ufficio, si toglie subito la giacca e si avventa sul condizionatore spingendolo al massimo.
«Bello stare in Parlamento. Ma aspetto con ansia che chiuda per ferie. Mi mancano i viaggi, l’aria aperta, il campeggio», dice Arturo Scotto, neodeputato ds.
«Dorme sotto la tenda?», dico scrutandolo. Giurerei di vedere ancora le tracce dei pannolini su questo ragazzone di Torre del Greco dai capelli crespi e scuri. Scotto ha 28 anni e ne aveva 27 quando è entrato a Montecitorio tre mesi fa. È la mascotte del Parlamento.
«Amo il cielo sopra di me. Al campeggio dei Socialisti europei ho conosciuto la mia compagna francese», dice il frugolotto.
«Fa già coppia fissa?», mi impiccio.
«Abbiamo un figlio di un anno e mezzo».
«Precoce in tutto. La sua compagna è in politica?».
«È nel Ps francese. Vive tra Napoli, dove abitiamo, e Parigi. Adesso, è su col bambino. Non vedo l’ora di raggiungerli, mettermi il sacco in spalla e portarli in giro», dice tutto fibrillante.
«Com’è che alla sua età è già deputato?».
«Pura casualità. Senza falsa modestia, non ci pensavo prima della proposta. Avevo tanto da fare alla Federazione Ds di Napoli. Fino a ieri, ero responsabile provinciale della Sinistra giovanile», dice con voce calma e assennata.
«Com’è cambiata la sua vita con l’elezione?».
«Cerco di non farmi troppo condizionare. La gente del Sud ha un rapporto malato col potere politico. Da un lato, ci pensano onnipotenti e che le loro vite dipendano da noi. Dall’altro, subentra una nuova deferenza, che io non cerco. Prima ricevevo 50 telefonate il giorno, ora molte meno. Paura di disturbarmi. Ma io sono lo stesso», dice modesto e giudizioso. È il classico giovanotto maturo e tipico dirigente politico.
«A segnalarmi lei, è stata la sua coetanea Giorgia Meloni, 29 anni, vicepresidente An della Camera. “Bravissimo”, mi ha detto. Che ha fatto per meritare?», chiedo.
«Essendo entrambi considerati dei fenomeni da baraccone, ci siamo esibiti in alcuni dibattiti tv. In Italia, a 28 anni si è visti come poppanti», dice e, per sottolineare l’avvenuto svezzamento, accende una sigaretta.
«Ricordo pochi deputati giovani come voi. Uno è Pier Casini. Aveva la vostra età quando entrò alla Camera nell’83», rievoco.
«Voglio ricambiare l’elogio alla Meloni. Trovo anche lei combattiva e tenace. Il suo percorso è analogo al mio».
«Qual è il suo?».
«Mi sono iscritto al partito a 15 anni. In Campania, imperversava la camorra. Questo mi ha spinto in politica».
«Anche per Meloni è stata una reazione agli omicidi Falcone e Borsellino», confermo.
«Avevo poi motivi più intimi. Uscire dalla timidezza, identificarmi in un collettivo. Fare qualcosa di differente dai coetanei. Il brivido di essere diverso, dopo 50 anni di egemonia dc a Torre del Greco. Un paio di libri, Fiesta di Hemingway e Cent’anni di solitudine di Marquez, mi avevano dato il gusto di spazi più ampi. Poi mi sono laureato in scienze politiche».
«Esattamente come Meloni. Schieramenti opposti, motivazioni analoghe», riassumo.
«Questa legge elettorale, che va cambiata, ha però favorito giovani e donne, quelli che non avevano ancora voti in proprio. I partiti più illuminati ne hanno profittato per un ricambio generazionale», dice. Nel riferirvi, sfrondo i paroloni di cui Scotto abbandona, plasmato com’è dal sinistrese che orecchia da quando era in brache corte.
«Meloni mi ha parlato di lei per criticare la scelta della Melandri a ministro della Gioventù. Meglio, ha detto, un giovane vero come Scotto».
«L’anagrafe non è tutto. Giudichiamo Melandri per ciò che farà. Poi vedremo», dice cauto.
«Lei è del Terzo millennio. Perché ha scelto gli antidiluviani dell’ex Pci?».
«La mutazione del partito mi ha aiutato a entrarci. Ma nella tradizione dell’ex Pci c’era dell’etica. Era più fuori dal potere meno responsabile delle degenerazioni politiche».
«Avrebbe aderito al Pci legato all’Urss?».
«Detesto le dittature, i Fidel Castro & co. La sinistra o è democratica o non è. Ma il Pci non è solo il legame con l’Urss. Era un partito di proposte. Non vorrei più l’illiberale centralismo democratico. Ma oggi chiacchieriamo molto. Allora, si elaborava di più».
«Achille Occhetto è stato rimosso. Colpa sua o ingrati voi?», malizio.
«Entrambe le cose. Lui ha avuto intuizione e coraggio. Ma ora antepone la rabbia personale alla possibilità di aiutare l’evoluzione. Vorrei che tornasse a partecipare. Darebbe un contributo fondamentale», dice e guarda apprensivo l’orologio. Profitto per dirvi, a suo merito, che sono le 7.45 di mattina. Si è sorbito l’alzataccia per essere puntuale alle 9 in commissione Difesa, la sua.
Lei è bassoliniano..
«Mai stato. Sono della sinistra Ds, il Correntone. Bassolino era all’inizio un punto di riferimento. Rappresentava il cambiamento».
La Campania è la peggiore landa d’Europa. Degrado e omicidi. Da 15 anni, re dei luoghi è Bassolino.
«Napoli ha problemi storici che abbiamo parzialmente superato, anche se talvolta sembra guerra civile. Ma il cambiamento è reale: più turismo, più trasporti, una classe politica mediamente più onesta della precedente».
Da lustri, c’è l’emergenza rifiuti. Bassolino si gira i pollici.
«È mancata la capacità di aggredire il problema. Bisognava coinvolgere di più la popolazione sul termovalorizzatore».
Invece, ne avete appoggiato il ribellismo.
«Non solo noi. Anche la destra ha fatto populismo».
Il governo lo avete voi.
«La prima responsabilità è nostra. Ma è il piano antirifiuti del '96 di Antonio Rastrelli di An che va cambiato. Inoltre, talvolta, è la destra a mobilitare la piazza».
Bassolino dovrebbe essere cacciato. Invece è stravotato. Com’è?
«Primo: c’è un vuoto totale della classe dirigente del centrodestra. Due: Bassolino ha molto appeal tra il popolo e la media borghesia campana».
Un seguito clientelare?
«C’è un’invasione negativa di partiti e di centri di potere personali che peggiora il clima della politica. A Napoli il rapporto tra consenso e potere è malato. Bassolino ha detto di voler lasciare spazio a nuove leve. È auspicabile. A patto però che emerga davvero un’altra classe dirigente degna».
Definisca Bassolino.
«Grande intuito. Buona capacità comunicativa. Troppo distratto dalle cose di partito».
Diliberto, Di Pietro, verdi, Prc. Buona cosa per l’Unione o un guaio?
«Una ricchezza. Il Paese è pieno di diversità. Nell’Unione ci sono turbolenze, ma non credo che ne verranno guai. Prc è molto rigoroso. Negli altri, prevalgono talvolta egoismi di partito».
Di Pietro manifesta contro l’indulto. Se lo avesse fatto un ministro del Cav?
«Non è stato uno spettacolo decente. Doveva dimettersi. Le convinzioni si manifestano in Parlamento. Non si può mobilitare la piazza se si ha una responsabilità di ministro». Segue un’eloquente smorfia di Scotto da viscere in subbuglio con mare forza otto.
Paragonavate il Cav ad Attila. Però, uscirete dall’Irak coi tempi suoi. Restate in Afghanistan come lui. In più, andrete in Libano. Più bellicosi del Cav?
«Falso. Noi abbiamo fissato le scadenze dell’uscita dall’Irak. Lui era rimasto sulle generali. Berlusconi aveva un’idea positiva di questa guerra che invece per noi è ingiusta e ha rilanciato il terrorismo. In Afghanistan abbiamo ridotto il contingente di 400 unità. Il Libano è tutt’altro: il contingente di interposizione è chiesto anche dai pacifisti».
La guerra di D’Alema contro la Serbia?
«Non ero affatto d’accordo».
I vostri pacifisti hanno invocato la fiducia per mettersi la coscienza a posto e votare le missioni militari. Ipocriti al cubo?
«Atteggiamento poco responsabile. Dovevano prendere atto del cambiamento a 180 gradi dell’Italia. Gino Strada, che vede le sofferenze sul campo, può essere intransigente. A loro spettava ragionare da politici».
Zapatero è il suo idolo?
«La sua fermezza e il suo amore per i valori farebbero molto bene alla politica italiana».
Zapatero o Blair?
«Nessun dubbio: Zapatero».
Prodi è il suo Zapatero?
«Auspico che Prodi faccia cose alla Zapatero. Valori forti che diano senso a un Paese in movimento, rafforzano la politica. Non a caso, la Spagna cresce in ogni campo».
Tra i leader della sinistra chi le piace di più?
«Una combinazione. Il rigore etico di Fabio Mussi. La capacità amministrativa di Veltroni. La volontà di innovazione di Bersani. La voglia di cambiamento e di libertà del Sud di Nichi Vendola».
A destra chi le pare più attraente?
«La figura emergente è Casini. Noto in aula la sua capacità di inserirsi nel dibattito».
Il Cav?
«Più combattivo di quanto non immaginassimo. Ha cambiato la società italiana, ma non in meglio».
Tra voi ci sono l’ex terrorista D’Elia e due illegalisti al cubo, Caruso e Farina.
«D’Elia non l’avrei candidato. Di Caruso sono amico. È esuberante, ma non può essere assolutamente considerato anticamera del terrorismo. Il Leoncavallo, di cui Farina è esponente, è ormai una struttura di aggregazione riconosciuta».
Turco, Melandri, Ferrero, tutti per la canna facile.

È quello che volete voi giovani di sinistra?
«Vogliamo la legalizzazione controllata del consumo di droghe leggere».
Lei è un consumatore abituale?
«Io ragiono da politico. E se lei allude, io la prendo a pacchere».

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