«Non intendo subire tutto questo, non permetterò a nessuno di trascinare nel fango me e con me le migliaia di uomini e donne della Protezione Civile». Guido Bertolaso affronta il primo weekend da indagato. Le accuse sono note: bustarelle, donne, appalti gonfiati. Secondo l’accusa l’uomo più famoso e ammirato d’Italia, quello che ha ripulito Napoli dal pattume, salvato centinaia di abruzzesi rimasti sotto le macerie del terremoto, ricostruito case antisismiche a tempo di record, arginato piene di fiumi e altri miracoli del genere non sarebbe quello che appare. Anzi, sarebbe una specie di mostro dalla doppia vita.
Dottor Bertolaso, chiederle come si
sente è partire
con una domanda
troppo banale?
«Guardi, l’importante
non è l’umore ma i fatti. E
più passano le ore più diventa
chiaro che dalle carte
non emergerebbe nulla
che giustifichi un simile
provvedimento nei miei
confronti».
Perché usa il condizionale?
«Perché le notizie le apprendo
dai giornali. Atti
giudiziari che dovrebbero
essere segretati sono finiti
prima sui giornali che nelle
mani dei miei avvocati.
Il tritacarne si è messo in
moto senza che io potessi
difendermi, spiegare, controbattere.
Non è giusto, è
una vergogna».
Rimaniamo ai fatti.
«Appunto. Prendiamo
la storia del centro benessere
e della presunta
escort Francesca. Oggi finalmente
i miei avvocati
l’hanno raggiunta. È una
massaggiatrice terapeuta,
con tanto di storia professionale
e personale. Altro
che orge e festini, ha rimesso
in sesto un mucchio
di persone acciaccate
come me. Che qualcuno
si sia permesso di farla
passare per prostituta è di
una gravità assoluta».
A proposito, in famiglia
come hanno preso
questo aspetto della vicenda?
«Ho subito spiegato a
mia moglie e alle mie figlie
che le accuse erano infondate,
che non c’era nulla
di vero. Mi hanno creduto
e oggi sono felice che ci
siano i riscontri per poterlo
dimostrare in modo inequivocabile.
Certo
che...».
Certo che cosa?
«È innegabile che io e i
miei affetti siamo stati tramortiti
da questo tsunami
di gossip e intercettazioni
nel quale sono coinvolto
mio malgrado. La cosa ci
addolora ma un fatto è
sempre più evidente».
Quale?
«Che in questa storia
non sono il protagonista,
sono il bersaglio. I successi
che abbiamo ottenuto
in questi anni devono
aver creato non poche invidie
e gelosie. Quando
qualche mese fa avevo
pensato di lasciare il motivo
era anche questo. Avevo
capito che prima o poi
qualcuno me l’avrebbe fatta
pagare».
La famosa bustina di cocaina
nella giacca...
«Esatto, l’ho già detto e
lo ripeto. Hanno provato a
incastrarmi, ma la storia
non regge».
Neppure quella delle
bustarelle?
«Se quella dei festini è ridicola,
questa lo è ancora
di più. Le sembro uno che
si vende? E per giunta per
diecimila euro?».
Onestamente no.
«Appunto. Tutto si basa
sul fatto che ho incontrato
qualche volta l’imprenditore
Diego Anemone che
mi avrebbe omaggiato di
qualche bustarella. I magistrati
formulano l’ipotesi
e poi si danno già la risposta».
Che è?
«Che non ci sono prove
o elementi concreti. Ma allora
mi chiedo: di che stiamo
parlando?».
Magari del pasticcio
che è successo a La Maddalena.
«Giusto, parliamone. Sa
che è successo?».
Più o meno, ma se ce lo
spiega lei è meglio.
«Le cose sono andate così.
A un certo puntoho scoperto
che dei lavori che
avevamo previsto costassero
300 milioni di euro
stavano per essere appaltati
a 600. Incaricato della
pratica era un certo De
Santis. Io ho capito che
qualcosa non tornava. Ho
allontanato De santis e insieme
al professor Calvi
ho rifatto il progetto, riportandolo
ai valori di spesa
originali. Più di così che
diavolo dovevo fare?».
Eppure il leader dell'
opposizione, Pieluigi
Bersani, ieri ha chiesto
ufficialmente le sue dimissioni.
«Ho sentito. Mi piacerebbe
dirgli due o tre cose».
Diciamogliele.
«La prima. Bersani dovrebbe
sapere che un alto
funzionario dello Stato decade
se le sue dimissioni
vengono accettate. Io mi
sono dimesso ma il miodatore
di lavoro, che non è
lui ma il capo del governo
Silvio Berlusconi, le ha respinte».
La seconda cosa?
«In questa richiesta c’è
molta irresponsabilità. Io
non sono a capo dell’Ente
del Turismo o dei musei
nazionali. Dirigo la Protezione
civile. E secondo lei,
per far piacere a Bersani,
possiamo lasciare il Paese
senza il numero uno dell’emergenza
così, da un
giorno all’altro? Se stanotte,
domani, accade un terremoto
o una tragedia chi
interviene a guidare i soccorsi?
Lui? Non credo».
Terzo.
«Bersani dovrebbe informarsi
e domandarsi se è
un Paese normale quello
in cui dei magistrati mettono
nelle ordinanze intercettazioni
nelle quali secondo
loro io parlo di mignotte
- che poi si scopre
essere una regolare massaggiatrice
- e non le decine,
forse centinaia, nelle
quali mando al diavolo,
spesso in malomodo,
chiunque tenti di blandirmi
o sia semplicemente
ambiguo nel linguaggio.
Ma vorrei aggiungere anche
una quarta risposta».
Prego.
«Credo che Bersani sia
in parte costretto a comportarsi
così. Deve tenere
buoni gli alleati della sua
coalizione che, come noto,
in quanto a garantismo,
non sono teneri o lo
sono solo quando gli conviene.
In compenso ho ricevuto
decine di messaggi
e di email di esponenti del
Pd che mi danno la loro incondizionata
solidarietà».
Ovviamente in segreto.
Si aspettava altro dalla
politica?
«No, loro fanno il loro
mestiere e lo capisco. Io
ne faccio un altro, io risolvo
i problemi, a volte
drammatici, della gente».
A proposito della politica,
che fine farà ora il progetto
della Protezione civile
Spa che doveva essere
votato alla Camera tra
pochi giorni?
«Temo si farà marcia indietro,
ed è unvero peccato».
Perché?
«Se qualcuno usasse la
testa e leggesse la legge,
capirebbe che una struttura
simile non solo migliorerebbe
ancora l’efficienza
della Protezione civile
ma la metterebbe ancor
più al riparo dal rischio
che accadano fatti come
quello della Maddalena».
Forse la parola Spa affiancata
all’emergenza
fa paura.
«È esattamente il contrario.
A noi serve agilità, trasparenza
e controlli rapidi
sulla correttezza del nostro
operato. Il resto è demagogia».
Torniamo all’inchiesta
giudiziaria. Che si aspetta?
«Di fare chiarezza con i
giudici, ma non so quando
potrà accadere e con
chi dovrò parlare».
In che senso?
«Mi è sembrato di capire
che, essendo stato intercettato
anche un magistrato
di Roma, tutto il procedimento
dovrà essere preso
in carico dai giudici di
Perugia. Così dice la legge.
Il che vuol dire che per
due o tre mesi, il tempo di
trasferire faldoni e scartoffie,
dovrei stare sulla graticola.
È assurdo non poter spiegare,
dimostrare la propria
innocenza in tempi
compatibili con la delicatezza
del mio incarico.
Una vera ingiustizia, e
non è l’unica».
Qual è l’altra?
«I giornali mi hanno riversato
addosso fango dando
praticamente per certe
ipotesi di reato, pubblicando
documenti segretati.
Mi consola che con il ricavato
delle querele che sto
per fare costruirò quattro
o cinque ospedali in Africa.
E questo grazie a un
giornale, in particolare».
Quale?
«Il Corriere della Sera.
Ha pubblicato le intercettazioni
complete del mio
indirizzo di casa e del mio
numero di telefonino. Siamo
alla follia, oltre che a
una palese violazione della
privacy. Sa cosa vuol dire?
Che ovviamenteho dovuto
disattivare quel numero,
quello attraverso il
quale gestivo in temporeale
tutte le emergenze. Ci
vuole tempo a risintonizzare
una catena di comando
articolata ed estesa su
un nuovo numero.
A me sì, non so se lo è a tutti.
Alessandro Sallusti
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