Adesso finalmente è sicuro (e meritato): Amadeus condurrà il Festival di Sanremo anche nel 2023 e nel 2024. Lo ha confermato l'Amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes che ieri ha ricevuto Amadeus insieme con il direttore del Prime Time Stefano Coletta ricevendo uno stentoreo «sono felice e onorato, non vedo l'ora di iniziare». È la rapidissima conclusione di un'incertezza durata neanche un mese dopo la finale del 5 febbraio all'Ariston. Penta-Amadeus si siede quindi di fianco a Mike Bongiorno e a Pippo Baudo, gli unici che, nei sette decenni di storia del Festival, siano stati i padroni di casa per un lustro consecutivo. Curiosità: entrambi i suoi precedessori hanno occupato la parte centrale del decennio di riferimento, Mike dal 1963 al 1967, Baudo dal 1992 al 1996.
Inutile dire che, dopo i sontuosi risultati di ascolto e di consenso critico (media di ascolto 58% di share, giovani sempre più coinvolti, raccolta pubblicitaria record e utile di 25 milioni circa) nessuno si aspettava una soluzione diversa. Squadra che vince non si cambia. E anche la discografia applaude: «Amadeus ha dimostrato una forte comprensione degli scenari musicali attuali e dell'importanza di connettere il pubblico televisivo con le generazioni dello streaming», conferma Enzo Mazza, ceo della Fimi, la Federazione dell'industria musicale. In poche parole, per Amadeus è davvero un trionfo di fiducia che arriva ai confini della favola. Dopo una bella carriera in tv e un periodo di appannamento ai margini della scena, «il conduttore della porta accanto» trova la consacrazione che lo consegna alla storia della Rai e di quel crocevia di italianità e tradizioni che è il Festival di Sanremo. E la trova in una delle fasi più difficili di sempre, proprio nel passaggio tra la peggior pandemia da un secolo e il peggior conflitto armato dopo la Seconda guerra mondiale. Però ora viene il bello.
Di solito la regola consiglia di lasciare il campo quando si è raggiunto il massimo e, obiettivamente, i risultati degli ultimi tre Festival sono euforici. Il rischio di non poter fare meglio è concreto, non certo per sfiducia nei confronti di Amadeus ma perché, specialmente nel feroce turnover cui ci stiamo abituando, la «resistenza» dei personaggi si è drasticamente ridotta. Il gradimento è sempre meno ancorato e sempre più volatile, i gusti cambiano alla velocità della luce (anzi, della fibra) e le mode si esauriscono non appena sono diventate, appunto, di moda. Quindi quella di Amadeus è la madre di tutte le sfide televisive, molto diversa da quella dei suoi precedessori penta-sanremesi. Mike Bongiorno ha guidato il Festival in una fase sostanzialmente statica, lasciandolo dopo il suicidio di Luigi Tenco e alla vigilia del '68 musicalmente e socialmente rivoluzionario. Pippo Baudo è stato il condottiero dell'Ariston in una Italia che ribolliva per Tangentopoli e il post Tangentopoli ma che musicalmente e televisivamente resisteva in una bolla praticamente intoccabile.
Ora Amadeus si prepara ai prossimi due Festival mentre tutto sta cambiando. La musica, innanzitutto. Grazie a Baglioni e a lui, Sanremo è tornato in sintonia con la parte di ascoltatori più golosa di musica, ossia i giovanissimi. È stata una sfida (vinta) che si è rivelata il miglior investimento possibile anche per la Rai che, anche grazie a quelle da molti tuttora definite «canzonette», si ritrova una platea rinnovata e competitiva. Oggi si sa che domani il Festival sarà seguito anche da tanti giovanissimi, quelli che fino a pochi anni fa manco sapevano cosa fosse il Festival di Sanremo oppure, per carità, quella è «roba da vecchi».
E poi si stanno trasformando anche le «modalità di fruizione» dei grandi eventi televisivi, sempre più seguiti a spizzichi e bocconi, ossia a piccoli spezzoni ritagliati e setacciati dai social. In poche parole, mentre tv e musica cambiano, Amadeus rimane. E la sua potrebbe rivelarsi un'impresa chiave per capire come e dove andranno il pop e i telespettatori nel futuro prossimo venturo.
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