Siamo a Guardia Perticara, in Basilicata, il (fu)set di Cristo si è fermato a Eboli. Un borgo di 532 anime, più le due arrivate con il lockdown e promotrici del Festival ClassicAlBorgo: tre titoli di teatro e musica, in prima esecuzione l'11, il 12 e 13 agosto. Il 12 va in scena Traviata sono io, spettacolo con musiche di Marco Salvio, testi di Filippo Arriva e Alessio Boni voce narrante della storia d'amore tra Giuseppina Strepponi e Giuseppe Verdi. Ne parliamo con Boni, attore di teatro, cinema (La meglio gioventù, La ragazza nella nebbia) e tv (La Compagnia del Cigno, Walter Chiari). Fra gli ultimi ruoli quello del tenente colonnello al fianco della pm Letizia Ruggeri nelle indagini sul caso di Yara Gambirasio, per Netflix. Alessio Boni leggerà le lettere che il compositore e la moglie Strepponi si scambiarono durante la stesura di Traviata. «Lei era donna molto chiacchierata per il passato turbolento, e Verdi prese sempre le sue difese. È come se dietro le quinte di Alfredo e Violetta (protagonisti dell'opera Traviata) si celassero Verdi e Strepponi. Lo spettacolo è costruito su questo». Su due anime controcorrente, del resto «i geni capiscono al volo quello che per gli altri risulta comprensibile dopo decenni o secoli».
Per professione, Boni finisce regolarmente nei corpi e anime dei geni e Grandi della Storia, è stato Ulisse, Caravaggio, Molière, Piaggio, Walter Chiari. «Non mi resta che annientare la mia personalità per far spazio alla loro». Fra i personaggi più burrascosi, Caravaggio, «che bello dire di no alla Curia e continuare a rappresentare la verità, le teste arruffate, i piedi sporchi, le Madonne non edulcorate». Protagonista di una fiction su Ulisse, si è convinto di una cosa, «devi essere pronto a tutto. Se tu sei pronto ad avere un figlio, arriverà. Stesso discorso per uno spettacolo, film o libro». E donna, dal 2016 è il compagno di Nina Verdelli, giornalista come il padre Carlo (ora editorialista del Corriere). Incontriamo Boni a cinque ore da uno spettacolo dedicato a Dante Alighieri. Non fa una piega, tensione pari a zero: recita o è veramente tranquillo? «Non sono mai nervoso. Più che teso, mi avverto proteso verso una cosa che sta per accadere. Nina dice sempre che il giorno dello spettacolo non mi si riconosce più dalle ore 19 in poi, è come se volassi via. Io non me ne rendo conto ma forse sto entrando nel personaggio».
Il sito di Alessio Boni esplode nel racchiudere un'attività ormai trentennale che ha prodotto 23 film per il cinema e 39 per la TV, 23 titoli teatrali, 3 corti, un libro e due regie. «Vero, lavoro tanto e ringrazio il cielo quando mi chiamano. Non stacco del tutto neppure in vacanza, non ne avverto il bisogno». Tanto per non smentire la tempra bergamasca, è nato 55 anni fa a Sarnico, sul Lago d'Iseo, laddove si producono le Riva, tra le imbarcazioni più chic al mondo. Viene da una terra forte, come il dialetto fatto di parole tronche, suoni aspri, ossuti, aspirati. Boni ha dovuto sì neutralizzare l'accento orobico, ma non ha né dimenticato né ripudiato le origini, «Pöde 'nda nac en bergamàsc», dice, ovvero potrebbe proseguire la conversazione in dialetto. «Aggiungo che non ho mai smesso di tifare Atalanta, accade da quando era in serie B perché è facile scommettere sul cavallo di razza, meno su un ronzino». Fino ai vent'anni, ha combinato gli studi con il lavoro aiutando papà piastrellista. Qui la prima scuola di vita «posando piastrelle ho imparato a non concentrarmi sulle difficoltà che comporta la costruzione di una casa, che può essere uno spettacolo, un libro, un progetto. Procedo metro dopo metro, senza grilli per la testa, mai sollevato dal pavimento perché le cadute fanno male».
Si divide fra palcoscenico e set cinematografico. Il bello dell'uno e dell'altro? «Nel cinema sei contornato da tantissimi professionisti, dal costumista a chi cura gli effetti speciali. In questo marasma devi riuscire, è questo il bello, a creare una tua campana di vetro che ti consenta di piangere perché tua mamma è morta o gioire per un lieto evento. Il bello del teatro è l'atmosfera sacrale, il pubblico silenzioso ma partecipe: lo senti commuoversi, divertirsi, c'è un mutuo scambio di energie.
È poi interessante vedere le diverse reazioni dalla Val d'Aosta alla Sicilia per cui il Napoletano applaude a scena aperte e il Romagnolo lo fa con quel sorriso dolce».E il Bergamasco? «È molto composto, non invade mai. Però alla fine degli atti, se ha gradito, si spella le mani, è tra i più calorosi in assoluto. Il Bergamasco è uno che si dona. Magari sarà che gioco in casa».
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