"Cetto c'è, senzadubbiamente" segna il ritorno sul grande schermo di Cetto La Qualunque, imprenditore calabrese corrotto, razzista e sessuomane, una maschera comica che in passato ha portato molta fortuna ad Antonio Albanese. “Qualunquemente” nel 2011 incassò sedici milioni di euro e “Tutto tutto niente niente” nel 2013 ne raggranellò otto e mezzo.
Sembra impensabile affidare un'intera commedia alla gestualità fisica, ai modi di dire e alle fattezze un po' kitsch di un unico personaggio, eppure è quello che avviene in "Cetto c'è, senzadubbiamente", la cui costruzione narrativa coincide con un mero assemblaggio di sketch.
Cetto (Albanese), abbandonata la politica, si è ritirato in Germania dove gestisce una redditizia catena di pizzerie. Alla notizia che l'amata zia sta morendo, lascia la figlioletta ai suoceri neonazisti e, con la bella moglie tedesca, si precipita al suo capezzale, a Marina Di Sopra in Calabria. Qui, sarà proprio l'anziana morente a rivelargli di essere stato concepito durante una lontana scappatella della madre ricamatrice con un principe del ramo Buffo di Calabria. Scopertosi ultimo erede dei Borbone, Cetto è pronto a trasformare la Repubblica Italiana in una nuova monarchia.
Nei precedenti film, Albanese provava a raccontare le tendenze più degradate del popolo italico e a intercettare gli scenari politici del momento, cosa che stavolta gli riesce molto meno. Il comico parrebbe voler criticare il sovranismo dilagante in Europa, ma non trova di meglio che interpretare il concetto in senso così stretto da trasformare il suo Cetto in un aspirante sovrano, spogliando quindi la situazione di ogni verosimiglianza politica e relegando volontariamente l'intera trama al regno dell'assurdo. Il film si gioca tutto su siparietti d'ambientazione castellana comprendenti caccia alla volpe, lezioni di bon ton, squilli di trombe e matrimoni combinati. Nessun vero affondo all'attuale compagine del potere, cui ci si limita a strizzare l'occhio in maniera innocua seminando piccoli riferimenti a questo o a quello schieramento.
La vis comica di Cetto La Qualunque, da sempre, risiede nella disarmante sincerità con cui il personaggio compie atti di guasconeria indecente e scorrettezza morale, andando a fare da specchio (per quanto deformante) a certe bassezze che i luoghi comuni vorrebbero essere radicate nel DNA italico. Il punto è che incentrare un lungometraggio sulla pittoresca reiterazione delle solite dinamiche già trite anni fa, si chiama raschiare il fondo del barile.
Meglio non commentare, infine, il balletto finale in cui Albanese si esibisce a ritmo di rap con Gué Pequeno."Gli italiani si bevono qualsiasi minchiata e io sono la minchiata giusta al momento giusto", questo il mantra di Cetto nel film. Se valga anche a livello cinematografico lo rivelerà il box-office.
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