Si dice che Netflix stia vivendo un periodo di crisi. Gli abbonati cominciano a calare, il canone mensile è in aumento e l’offerta scarseggia. Tutto questo può anche essere vero, ma a volte non bisogna fermarsi in superfice. Il catalogo del colosso dello streaming ha ancora molte frecce nel suo arco. Come Clark, ad esempio. È una miniserie tv molto interessante che unisce la commedia e il dramma poliziesco, raccontando e romanzando un fatto di cronaca vera che ha interessato il tessuto sociale svedese nel corso degli anni ’70. Non è un prodotto americano, ma è girato e prodotto in Svezia, e ha un cast di attori di talento, lanciati già nel cinema internazionale. Come Bill Skarsgard, attore dal fisico prestante e dai profondi occhi azzurri che di recente ha presto il volto al pagliaccio assassino di IT, nel film ispirato al romanzo di Stephen King.
In Clark interpreta un criminale, un uomo che non ha paura del pericolo e delle forze dell’ordine. Che rapina e inganna solo per il gusto di farlo. I sei episodi di questa promettente serie tv – così bella e intensa che si gusta quasi in un solo boccone – getta uno sguardo su un’epoca di grandi cambiamenti sociali, politici e culturali e, nello stesso tempo, porta alla luce la storia di una folle rapina in banca e quella di uno tra i criminali più controversi a cui è legato la genesi (e gli studi scientifici) della sindrome di Stoccolma. Sei episodi per un racconto in bilico tra realtà e follia, che colpisce per una sceneggiatura fluida e accattivante.
Tra verità e menzogne, la storia di Clark Olofsson
Sono i ruggenti anni ’70. Ci troviamo in Svezia e si respira un’aria di innovamento, come se tutti guardassero con gli occhi sognanti a un futuro migliore. Ed è in questo periodo che Clark Olofsson muove i primi passi nel mondo della malavita. Fin da quando era un bambino ha avuto l’impeto di rubare, seguendo solo i suoi istinti. Con la maggiore età, oltre al rubare, Clark sviluppa anche una strana empatia verso le donne tanto da conquistare il cuore di ragazze giovane e meno giovani, tutte colpite dal fascino e dalla bellezza di un dandy spregiudicato che riesce ad adattarsi a qualsiasi situazione. Per un furto d’auto finisce in riformatorio. Una volta evaso dal carcere, per Clark comincia una vita in fuga dalla giustizia ma, allo stesso tempo, diventa anche un fenomeno mediatico, tanto da popolare le prime pagine dei giornali.
Ma ciò che ha reso Clark tristemente famoso è stata una rocambolesca rapina in banca. Nel 1973, Jan-Erik Olsson – compagno di rapine del giovane malavitoso – entra in una banca di Stoccolma e, una volta neutralizzate le guardie giurate con una semplice mitragliatrice, rinchiude gli ostaggi nel caveau. In cambio della loro liberazione ha chiesto e ottenuto: tre milioni di corone, un giubbotto antiproiettile, un’automobile e la scarcerazione di Clark. La rapina è durata più di sei giorni e la stampa dell’epoca, nella ricostruzione dei fatti, ha rivelato che i prigionieri avevano instaurato un rapporto gentile e premuroso nei riguardi dei propri aguzzini, che gli studiosi hanno poi spiegato con una teoria – anch’essa bizzarra entrata poi nei manuali di psicologia – chiamata "Sindrome di Stoccolma".
Bill Skarsgard è l’attore che "umanizza" un criminale
Ci troviamo di fronte a una serie ibrida. Clark è un romanzo di formazione in cui si racconta la vita di un uomo dal carattere instabile che non ha paura del pericolo, e dall’altra è una sorta di documentario che rievoca un fatto di cronaca realmente accaduto, in una storia che non prende le difese di nessuno. La regia e la sceneggiatura hanno reso lo show molto accattivante, ma sono le interpretazioni la vera perla di diamante della serie tv. Spunta, ovviamente, il bravo (e bello) Bill Skasgard che regala un volto umano, folle e stralunato a un fatale criminale capace di entrare in empatia con le sue "vittime".
L’attore si cimenta in un ruolo particolare in cui c’era il rischio di cadere nel patetico o nel macchiettistico, invece Bill Skarsgard compie un’impresa (quasi) impossibile, portando in tv un personaggio controverso che piace proprio per questo. L’attore, fratello più giovane di Alexander Skarsgard, attore anche lui e celebre per la tv di True Blood, non è alla sua apparizione in tv. Qualche anni la lo abbiamo visto in Hemlock Groove, una delle prime serie horror di Netflix.
Cosa c’è di vero sulla storia di Clark Olofsson?
Non solo fatti di cronaca, ma la serie tv è basata sulla stessa autobiografia di Clark Olofsson. Una volta che è stata mandata in stampa – pubblicata solo in inglese e mai in italiano - è stata aspramente criticata perché tutto il racconto era basato su verità mai fondate e su un punto di vista troppo critico sulle vicenda. Rispetto alla realtà, la serie di Netflix non si prende tante licenze "poetiche". Si entra nel fulcro della vicenda, e su quella fantomatica rapina, solo verso la metà della storia e all’inizio si regala molto spazio al percorso di crescita del giovane malavitoso. Ma non si lesina nei dettagli, anzi, la storia è molto speculare a ciò che è successo al giovane Clark. La rapina, così rocambolesca da somigliare a quella avvenuta nel La Casa di Carta, è durata sei giorni. E si dice che gli ostaggi non avessero alcun timore per la loro incolumità, dato che i rapitori con loro erano gentili e disponibili. Ciò che è avvenuto ha suscito l’interesse di molti studiosi, arrivando a una scoperta che, ancora oggi, è molto dibattuta.
Il criminologo che per primo ha coniato il termine "Sindrome di Stoccolma"
A parlare di questo legame tra vittima e carnefice è stato Nils Bejerot, che di professione era criminologo, che per primo ha cominciato a parlare di Sindrome di "Norrmalmstrong", un disturbo che nasce durante una situazione di pericolo. Ma è diventata poi la sindrome di Stoccolma dopo che, il 23 agosto del 1973, una delle cassiere della banca che è stata rapinata, aveva ammesso di non sentirsi intimorita né da Clark né da Olofsson e Eri-Jean, tanto da non voler sporgere denuncia per l’aggressione. È stata chiamata in questo modo per una pura formalità didattica, solo perché il primo vero caso di questo disturbo è stato scoperto in un‘università di Stoccolma, capitale della Svezia.
Perché è la serie tv che non ti aspetti
Anche se conversa le caratteristiche tipiche di un documentario, la serie ha ritmo e appeal.
Piace per quell’immagine della Svezia degli anni ’70, ma piace ancor di più proprio perché è intrigante lo sguardo su una storia vera, romanzato secondo i prismi più particolari di un racconto di formazione. Da vedere con parsimonia, perché può provocare dipendenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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