Il 3 ottobre 1931, un piccolo aereo da turismo sorvolò Roma e fece cadere migliaia di volantini che incitavano alla rivolta morale contro il fascismo. A bordo del velivolo, partito da Marsiglia e che si inabisserà nel Tirreno sulla via del ritorno, c'era l'ideatore dell'impresa, che in quel momento aveva trent'anni, un colto professore di padre italiano e madre americana che insegnava la nostra letteratura all'Università di Harvard: Lauro De Bosis (1901-31).
Poeta, Lauro visse nel mito di D'Annunzio e cominciò a scrivere versi e a tradurre dall'inglese, mentre si laureava in chimica. La sua vita cambiò quando fu incaricato nel 1924 di svolgere conferenze per la promozione della cultura italiana negli Usa. Si stabilì allora a New York maturando posizioni politiche antifasciste su una piattaforma liberal-conservatrice tesa a strappare la Chiesa cattolica e la Monarchia dall'abbraccio mortale con Mussolini. La sua attività poetica ricevette un importante riconoscimento quando, con il dramma in versi Icaro, vinse il concorso letterario legato alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928. Il poema fu scritto, egli dice, per esaltare «il progresso, l'élan vital, nella sua forma individuale ed eroica». E qui c'è tutta un'epoca, e anche non poca della personalità di De Bosis. L'epica del volo (Lindbergh aveva appena compiuto la prima trasvolata atlantica) segnava tempo di modernizzazione e volontarismo, e attraversava il fascismo e l'antifascismo. De Bosis aveva però in sommo conto anche la tradizione, e precisamente l'italianità, e questi due poli della sua personalità un po' entravano in tensione e un po' trovavano una sintesi, secondo lui, nel pensiero di Benedetto Croce, a cui sempre più si ispirò nella sua opera. È di questo aspetto che si occupa ora la bella antologia che propone Rosalia Peluso, che insegna Filosofia Teoretica a Napoli e che è la più giovane rappresentante di quel «crocianesimo critico» che si fa sempre più spazio nel mondo degli studi: La religione della libertà e altre conferenze americane su Europa e Umanismo (Le Lettere). Le tre conferenze, scritte nel 1931, non furono mai tenute, ma attestano la ormai completa adesione di De Bosis alla prospettiva liberale crociana. E anche a un rigoroso antitotalitarismo che vedeva fascismo e comunismo come «i due aspetti di un unico fenomeno»; e il primo come un mix di «sindacalismo rosso» e «nazionalismo guerrafondaio». Un elemento, quello crociano, che invece Gaetano Salvemini, pubblicandole per la prima volta nel 1948, aveva messo in secondo piano. Merito della Peluso è anche quello di avere aggiunto nel libro le nove lettere inedite di De Bosis al Maestro (le risposte di Croce non sono mai state reperite), in cui non solo viene attestata la vicinanza ideale fra i due ma anche individuata, da parte del più giovane, la «Via Regia», così la definisce, per la penetrazione nel mondo anglosassone di una filosofia che era stata fonte da quelle parti, al suo comparire, di «equivoci e ostilità».
Si tratta di far capire in sostanza, per De Bosis, che, appuntate le armi contro l'empirismo storico e debellatolo, lungi dal riproporre una prospettiva metafisica, Croce, con «la riduzione della Filosoda alla Storia», ha dato all'«Esperienza concreta una importanza come nessuno Empirismo ha mai osato dare».
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