«Te li vinco io i mondiali col Brasile». Su questa frase, detta da un bambino di 3 anni a un padre scorato per la finale di Messico '70, la premiata coppia di sceneggiatori di 1992, 1993 e 1994, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, ha costruito la solida impalcatura della storia raccontata in Il Divin Codino, il film prodotto da Fabula Pictures e diretto da Letizia Lamartire sulla carriera calcistica di Roberto Baggio, dal 26 maggio su Netflix.
Sì perché quel bambino è il grande calciatore della Nazionale che la promessa l'ha poi mantenuta, a modo suo, certo: «Il discorso del rigore mancato non l'ho mai archiviato, me lo porterò per sempre con me. È il sogno della mia vita calcistica, diventato realtà ma che così non l'avevo mai immaginato». Queste le parole sul sogno infranto, appunto, della finale dei Mondiali del 1994 tra Italia e Brasile, di un Roberto Baggio che trova conforto ancora nella pratica buddista: «Quando mi avvicino alla fase finale di qualsiasi cosa il percorso diventa difficile, è il mio karma che mi ritrovo a combattere ogni volta che sto per raggiungere un obiettivo». Che poi già De Gregori cantava di «non aver paura di sbagliare un calcio di rigore/ non è mica da questi particolari/ che si giudica un giocatore / un giocatore lo vedi dal coraggio/ dall'altruismo e dalla fantasia». Oggi gli fa eco Diodato che ha composto la canzone del film, L’uomo dietro il campione: «Più di vent'anni in un pallone/ più di vent'anni ad aspettare quel rigore/ per poi scoprire che la vita/ era tutta la partita/ era nel raggio di sole/ che incendiava i tuoi sogni di bambino/ era nel vento che spostava il tuo codino/ che a noi già quello sembrava un segno divino».
Codino nato per gioco, durante i fatidici Mondiali negli Stati Uniti, dove «una cameriera di colore aveva delle treccine stupende, io glielo dissi e dopo due ore me le ritrovai sui miei capelli lunghi», ricorda il calciatore nato 54 anni fa in provincia di Vicenza.
Ecco dunque il racconto dell'uomo più che del mito calcistico, ecco tutta la sensibilità spirituale di Baggio che è uno dei tocchi più originali e delicati del film, girato dalla regista anche con telecamere dell'epoca per restituire i toni televisivi e scolpito su tre momenti fondamentali della sua vita: «Su quelli - racconta Ludovica Rampoldi - abbiamo costruito la storia di un uomo che insegue il suo destino. Naturalmente, avendo a che fare con il calciatore più amato d'Italia, ci siamo chiesti come poter raccontare in 90 minuti una vita senza deludere nessuno. Abbiamo quindi optato per mostrare quello che non sappiamo, il lato oscuro, quello dietro la luna». Che è oscuro solo perché non si vede, mentre la vita di Baggio, la moglie Andreina (interpretata da Valentina Bellè) e la famiglia con il padre Florindo (Andrea Pennacchi) e la madre Matilde (Anna Ferruzzo), sono di una semplicità esemplare. È un mondo del calcio del secolo passato, niente a che vedere con l'ostentazione opulenta di oggi: «La sfida - confida Stefano Sardo - era trovare una chiave per raccontare un calciatore che non era un brand di se stesso e neanche bandiera di una singola squadra, ma dell'Italia intera».
In questo senso la grande interpretazione camaleontica di Andrea Arcangeli restituisce tutta la semplicità di Baggio, la sua educazione, la sua positiva ingenuità: «All'inizio - dice l'attore che sta lavorando alla seconda stagione di Romulus - ero scettico, avevo paura di non essere all'altezza.
Allora ho letto e ascoltato tutto su di lui, addormentandomi con la sua voce nelle cuffie, e con una frase in particolare in cui mi sono riconosciuto: L'importante alla fine è sapere di aver fatto tutto quello che potevi fare».Il Divin Codino, prodotto anche grazie a Trentino Film Commission e al Ministero della Cultura, fa parte di un accordo di 7 film che Mediaset sta realizzando con Netflix.
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