Il dolore, con ironia. Il "Bardo" di Iñárritu è un viaggio magnifico come la vita (e i film)

In gara sontuosa pellicola autobiografica del regista messicano. Uscirà prima nelle sale e poi su Netflix. "Il mio santo protettore? Il vostro Federico Fellini"

Il dolore, con ironia. Il "Bardo" di Iñárritu è un viaggio magnifico come la vita (e i film)
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da Venezia

È un incredibile film mondo quello che il grande regista messicano, Alejandro G. Iñárritu, ha messo in piedi grazie alla sontuosa produzione di Netflix che, dice, «ringrazio per avermi lasciato totale libertà» e che lo farà uscire sulla sua piattaforma il 16 dicembre e, prima, nelle sale cinematografiche. L'importante è che il pubblico abbia la possibilità di vedere Bardo. La cronaca falsa di alcune verità, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, anche al cinema perché è un'esperienza visiva straordinaria grazie alla fotografia di Darius Khondji e alla grana della pellicola in 65mm con cui il regista premio Oscar ha deciso di raccontare un po' della sua vita trasfigurandola in quella di Silverio Gama, un noto giornalista e documentarista messicano che vive a Los Angeles e che sta per ricevere lì un premio molto importante.

Ma non c'è linea temporale che tenga in questo film che è un flusso di immagini, per lo più oniriche perché, dice il regista, «la memoria non è veritiera, possiede soltanto convinzioni derivate dalle emozioni. Avviso in anticipo: non ho trovato alcuna verità assoluta, ho solo percorso un viaggio tra realtà e immaginazione». Sono queste le labili coordinate spazio-temporali di un viaggio esistenziale e personale di un uomo con l'anima divisa in due, tra il Messico e gli Stati Uniti: «Proprio oggi, 1 settembre, è un anniversario molto importante per me e per la mia famiglia perché nel 2001 abbiamo lasciato il Messico e siamo andati a vivere a Los Angeles dove dovevamo rimanere solo un anno e invece non siamo andati più via».

Così come il concetto del bardo del titolo che, nel buddismo, indica uno stato intermedio, di transizione tra la morte e la rinascita, ovvero il limbo cristiano proprio come accade nel film al figlio della coppia, morto poche ore dopo la nascita, che, in un'immagine altamente suggestiva, originale e con incredibile humor nero, viene inserito nuovamente nel corpo della donna perché, dice il medico, «mi ha detto che non vuole ancora uscire». Ecco, racconta il regista, «26 anni fa mia moglie ha perso un bambino, si chiamava Luciano». L'autobiografia fa capolino per tutti i 174 minuti del film, con la rievocazione di incontri con il padre, con la madre, con i fratelli, aspetti anche dolorosi della vita sempre filtrati attraverso un'intelligente e mai superficiale ironia come l'incontro con il conquistador Hernán Cortés e come la sequenza dell'aeroporto quando la famiglia rientra a Los Angeles dopo le celebrazioni in Messico per l'importante premio e il poliziotto alla dogana litiga con il protagonista che si dice americano mentre l'ufficiale gli risponde che non può considerare gli Stati Uniti casa sua. «È la mia condizione sottolinea Iñárritu sono certamente un immigrato di prima classe, diverso quindi dai profughi o rifugiati politici ma anche io sono vittima di tante contraddizioni. Sono in un territorio di mezzo, in America sono considerato messicano e, in Messico, americano. Per questo sette anni fa sono voluto andare in Sicilia per conoscere e parlare con i migranti sopravvissuti a un naufragio».

Curiosamente il film, che Netflix cercherà sicuramente di portare agli Oscar, ha dei punti in comune entrambi i protagonisti si mettono a volare con Birdman o l'inaspettata virtù dell'ignoranza, presentato sempre qui al Lido poi vincitore della statuetta per il miglior film, regia e sceneggiatura nel 2014: «La verità confida Iñárritu è che ho sempre sognato di volare, in maniera orizzontale come fa anche Michael Keaton in Birdman. È qualcosa che mi piace tantissimo e, quando non lo sogno, è presagio di cose negative». Bardo. La cronaca falsa di alcune verità si poggia anche sulla straordinaria interpretazione di Daniel Giménez Cacho, attore spagnolo trasferitosi in Messico, che potrebbe essere una splendida Coppa Volpi qui alla Mostra.

Poi certo immancabile è il riferimento a Fellini trattandosi di un film in cui il sogno è l'elemento centrale: «Non esiste cineasta che non sia stato infettato da Fellini così come nessun musicista può prescindere da Mozart o da Bach. Poi certo ci sono anche altri registi che mi influenzano come Luis Buñuel, Roy Andersson, Alejandro Jodorowsky. Spero però che santo Fellini mi abbia protetto anche questa volta».

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