C'erano una volta un elefantino dalle orecchie grandi, una ragazzina con i capelli biondi capace di sogni bizzarri e un principe egoista e crudele, vittima del sortilegio di una fata travestita da mendicante che lo trasformò in un'orrenda bestia. C'erano una volta. E ci sono ancora. Accucciati in case da favola perché le favole sono la loro casa. Cullati da bambini diventati grandi che le hanno raccontate ai loro bambini diventati grandi. Di generazione in generazione. In un circolo che ha del miracoloso nel suo essere magicamente infinito. E ora l'elefantino, la fanciulla e il principe bestione sono lì, uno di fronte all'altro, chi volando sulle ali delle proprie orecchie, chi sottobraccio a un cappellaio matto, chi con una rosa in mano. Un attimo prima che sfiorisca. A guardarsi indietro. A scoprire che sono volati decenni. E dopo una vita di «non compleanni» sono arrivati invece i compleanni veri. Dumbo, Alice e la Bestia sono lì, seduti davanti a una torta, tonda tonda come l'età che hanno raggiunto. Ottant'anni per il pachiderma, settanta per l'eterna signorina e trenta per quel burbero minaccioso e cupo.
Primo miracolo. Come si fa a non invecchiare... Facile, basta essere una fiaba. Eppure qualche segno del tempo c'è ma non sono rughe. Chiamatela evoluzione dell'immaginario sociale collettivo e scoprirete che Dumbo, nato il 31 ottobre del '41, al termine delle sue vicissitudini disegnate su carta a matita, dopo i tanti sberleffi dei suoi simili si ritrovava padrone del circo. Insomma, aveva fatto carriera.
Due anni fa, nell'ultima versione live action targata Tim Burton, il simpatico «animaletto» ritornava nella giungla con la mamma che aveva condiviso il suo dramma. Passi non proprio da poco. L'unico circo accettabile non ha più quattro zampe, tanto è vero che il protagonista ritorna alla natura - nella giungla - e non in un carrozzone. I cattivi sono puniti, sia bipedi sia quadrupedi, eco di un bullismo negli anni Quaranta lontanissimo da orizzonti fatti di bombe, dittature e olocausto. In quel 1941 lo videro solo in America, Canada, Brasile e Argentina. L'Italia lo conobbe nel Natale del '48. Ultima fu la Cina nel luglio 1989, un pugno di settimane dopo Tienanmen. E c'è chi inganna l'eternità. La Bella e la Bestia è il trentesimo cartone dell'era Disney ed esce sotto Natale del 1991 ma sembra essere esistito da sempre. Colpa forse del suo primo apparire, nel 1946, per merito di Jean Cocteau che lo riesumò dalla letteratura.
Secondo miracolo. Come si fa a salvare un'azienda... Impresa meno facile e fantasiosa della precedente. Però Dumbo ci riuscì. Vide la luce per compensare il fiasco di Fantasia che, solo dodici mesi prima, aveva minacciato il mondo Disney. Sfida vinta. Il film costò 950mila dollari - la metà di Biancaneve e un terzo di Pinocchio - rimettendo 1,6 milioni nelle casse della produzione.
Alice nel Paese delle Meraviglie soffrì di più. Uscito nel luglio 1951 fu accolto dalla critica con giudizi discordanti e l'affluenza in sala fu tiepida. Sulle potenzialità di quella ragazzina, però, in pochi ebbero dubbi. E anche lei, di fronte allo specchio della vita, si scoprì diversa, pur restando una splendida sognatrice. Negli anni Settanta spuntò un'Alice più visionaria che, cammin facendo, mantenne la sua ingenua spontaneità aggiungendo colore. Uscì dal cartoon e divenne un film, segno dei tempi e di un millennio nuovo. L'anima corsara fu ancora Tim Burton che consegnò il cappellaio matto nelle mani di Johnny Depp e la regina buona in quelle di Anne Hathaway. Alice è ora in carne e ossa ma non torna più a sorseggiare il tè dopo aver svegliato l'alter ego da quel sogno, folle e meraviglioso al tempo stesso. Anzi. Alice è ormai una donna autorevole che declina lo spasimante e con il mancato suocero studia nuove rotte commerciali con la Cina. Profondamente ancorata a un mondo che ha sdoganato il dragone, porta alla Disney una dote che supera il miliardo di dollari a fronte di un budget di 200 milioni, piazzandosi 43ª nella classifica degli incassi di tutti i tempi.
Terzo miracolo. Già, favola e poesia. Emozione colorata. Eleganza francese. Come si raggiunge riconoscimento e prestigio internazionale... La Belle et la Bête scritta da Jeanne-Marie Leprince de Beaumont e scriteriatamente tradotto La Bella e la Bestia, perché Belle è il nome della protagonista, conquista due Oscar per la colonna sonora. Soprattutto, è il primo titolo di animazione della storia ad essere candidato nella categoria di miglior film, un primato destinato a restare intatto fino al 2010, quando la Pixar piazzò il suo Up. La favola Disney segna trent'anni da quando uscì, supportata da merchandising e figurine che avrebbero consegnato all'eternità teiere e candelabri parlanti, orologi a pendolo come maggiordomi e un rosa sotto vetro che scandisce, come una clessidra, il tempo dell'amore e della conversione. L'attesa di un bacio. L'incantesimo che riporterà quel principe, trasformato in bestia, alle fattezze umane avendo dimostrato di saper davvero amare. Miracoli prosaici di casa Disney.
Il quarto è quello che non si paga e non si conta.
Né con i soldi, né con l'età, né con i premi. Ed è saper entrare nel cuore, nell'immaginario. E donare un sorriso, anche solitario. Furtivo. Nascosto. Ma perpetuo e universale. Di quelli che, al contrario della rosa della Bestia, non sfioriscono mai.
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