Ma che bello, un artista che sprizza positività. Niente proclami, polemiche, autoreferenzialità. Michael Bublè è il migliore dei giovani crooner, quelli cresciuti nel mito di Frank Sinatra o Tony Bennett, e due anni fa a suo figlio Noah, di tre anni, è stato diagnosticato un tumore. Decisione rapida: mi ritiro dalle scene per occuparmi di lui. E l'ha fatto davvero: sparito dai radar, cosa sempre più rara per una star globale. Ora che è passata la buriana, ritorna con un nuovo disco, che si intitola Love ma che in copertina ha soltanto il simbolo del cuore a rappresentare undici brani (tredici nella versione deluxe), tutti standard come La vie en rose, My funny Valentine o Unforgettable e soltanto due firmati da lui. Storia bella, ideale per ricevere una folata di fango. Infatti poche settimane fa il tabloid inglese Daily Mail ha annunciato il ritiro definitivo di questo canadese che ha voce e modi eleganti come pochi altri. «Stronzi», dice lui (letteralmente «assholes»). Ed è l'unica volta che il suo sguardo si rattrista.
Intanto, Michael Bublè, come ha fatto a scegliere i brani di Love?
«Sarà un luogo comune, ma non li ho scelti io, sono stati loro a scegliermi. Sono serviti a mettere in musica la mia teoria dell'amore».
Per un cantante swing non è originalissima come motivazione.
«Tutti affrontiamo brutti periodi per noi stessi o per i nostri familiari e il prezzo da pagare è molto alto. Però dopo si conquista una visione più completa».
Quale?
«Mi sono chiesto mille volte, e l'ho chiesto anche a mio figlio, perché sono qui, dove stiamo andando, insomma tutte le domande esistenzialiste che ogni tanto ci si pone. La risposta è stata che l'amore è la nostra ragione di vita».
Ci sono tanti tipi di amore.
«Non solo quello romantico, naturalmente. Ma anche la sofferenza, il desiderio, la mancanza, la solitudine. Registrare questo disco è stato terapeutico per me».
Si pensava non ne avrebbe registrati più.
«Non ho lasciato la musica perché volevo. L'ho fatto perché dovevo».
E poi?
«Poi un anno fa ho invitato a casa i ragazzi della mia band. Una pizza, un po' di birra, poi ci siamo stufati e abbiamo iniziato a suonare (e mostra i video sul cellulare di quelle jam session - ndr). Lì è nata la scaletta di questo disco, le abbiamo cantate tutte. Poi sono uscito, c'era un mio amico fuori, io con la birra in mano e lui con la sigaretta, e gli ho detto: Mi ero dimenticato quanto mi piacesse la musica».
Il risultato è Love.
«Vorrei che diventasse un baby making record (letteralmente: un disco per fare figli - ndr)».
Molti la considerano semplicemente come un cantante buono per il Natale.
«E che male c'è? Vedo il mondo con gli occhi di un bambino da prima che nascessero i miei figli. Intorno a me molti vorrebbero che fossi più duro, ma questa è la mia essenza: io sono un ragazzino nel corpo di un 43enne. In fondo, per capire quanto si sta bene, bisogna essere stati male. E quando stavo male, ho promesso di essere onesto con me stesso, con la famiglia, con gli amici e con Dio. Il resto sono cretinate».
Non è facile, oggi i social creano ansia da prestazione o inarrestabile voglia di far polemica.
«Io sto fuori dai social, non voglio sapere quante copie vendo di questo disco, non voglio conoscere le cose belle scritte su di me e nemmeno quelle brutte. Non confondo più ciò che sono con ciò che faccio».
Non sarà facile per chi lavora con lei.
«Non lo è. Ma l'altro giorno, parlando con un mio amico, mi è venuto di dire che finalmente sono un artista, la mia strada è questa. L'altro giorno qui a Milano sono andato a visitare una piccola chiesa in centro, bellissima, e fuori c'era un ragazzo che cantava Hallelujah di Leonard Cohen. Una scena incantevole. Ma nessuno la seguiva, erano tutti impegnati a farsi selfie (e mima le smorfie di chi è impegnato a scattarsi una foto - ndr). Io voglio star fuori da tutto ciò».
È difficile, vede che le hanno appena attribuito la volontà di ritirarsi?
«Hanno messo insieme vecchie dichiarazioni e frasi decontestualizzate. Una cosa di pessimo gusto persino per un tabloid gossiparo. Non mi ritiro, canterò finché sarò vecchio».
Perché Bublè non prova a comporre e cantare solo le proprie canzoni?
«Perché rispetto il grande repertorio di canzoni americane e vedo che sempre meno lo
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