Geniale, "veneziano", folle. Così Turner rivive al cinema

Il regista Mike Leigh racconta gli ultimi 25 anni del grande paesaggista. "Avrei voluto girarlo a Venezia, dove ha dipinto spesso, ma era troppo costosa"

Timothy Spall in una scena di "Turner"
Timothy Spall in una scena di "Turner"

«Con quello che costa mettere piede a Venezia, era inevitabile che finissi per girare il mio film tra il Galles e l'Inghilterra!», dice Mike Leigh, a Roma per presentare Turner (dal 29 con Bim), interessante biopic da lui scritto e diretto sul pittore inglese William Turner (1775-1851). Il geniale paesaggista (qui è l'irsuto Timothy Spall) ed esponente del Romanticismo, che viaggiò molto in Italia, tra Roma, Napoli e Venezia, dove scese tre volte, ma che, per via degli esagerati costi del Belpaese contemporaneo, viene immortalato nella Londra dell'epoca vittoriana, all'alba della rivoluzione industriale. «Certe cose, o le fai bene, o non le fai per niente. Quando ho capito che avrei dovuto rinunciare al set veneziano, pensavo che il mio film non avesse senso. Poi, sia io che il mio fotografo, Dick Pope, abbiamo fatto altri sopralluoghi e siamo andati avanti», racconta il regista e sceneggiatore 71enne,autore, tra l'altro, di Segreti e bugie (1996), Palma d'Oro a Cannes, anche immortalato da un francobollo della Royal Mail. Oltretutto anche la ricerca di un produttore italiano è stato un fallimento: «Il fatto è che i produttori italiani non vogliono rappresentare una quota minoritaria». Snobbato agli Oscar ( Turner ha ottenuto una sola candidatura per la fotografia e due nominations tecniche minori), il regista ha lavorato dieci anni per portare a termine questa sua lezione di cinema, basata sugli ultimi 25 anni di vita del maestro della luce, che adorava i dettagli.

Non è facile descrivere l'impeto di Turner, «personaggio contraddittorio, amante della sua doppia vita segreta», però Leigh restituisce la sua divorante passione per la pittura, che avanza di pari passo con i suoi formidabili appetiti sessuali. Soddisfatti dall'amore ancillare con la sua domestica Hannah (Dorothy Atkinson), posseduta tra soffi e grugniti animaleschi. Evitati, però, a una vedova che lui ama: «Ho voluto restituire l'aspetto birichino e anarchico del pittore. Che aveva un preciso senso dell'umorismo. Come si nota nella scena in cui, dopo aver visto i quadri del suo antagonista Constable, dove trionfa il rosso, aggiunge subito una macchia rossa a una sua tela», spiega Mike, spedito dallo psichiatra a 14 anni, perché il padre Abe temeva le sue inclinazioni artistiche. «I film sui pittori mi piacciono. Ho scoperto Turner da studente d'arte, negli anni Sessanta. Non solo si tratta d'un grande pittore, ma d'un pittore cinematografico. I suoi dipinti riecheggiano la sua sensibilità: voleva rappresentare il sublime, partendo da un dettaglio. Come nel quadro Pioggia, vapore e velocità , custodito alla National Gallery, che esprime lo stupore di un uomo, nato nel 1775, di fronte al vapore. Il treno è raffigurato in tutta la sua forza e, nel quadro, la piccola lepre che sarà investita, grida l'ostilità di Turner di fronte al progresso», chiarisce il regista,la cui intelligenza liberale è sempre vigile.

Nel film l'elemento materico, in senso stretto, è assai presente: Turner si fabbrica da solo, insieme al padre, le tele e i colori. Perciò ci si aspettava che Leigh ricorresse alla pellicola di celluloide e non al digitale: una scelta criticata a Cannes, dove il film è stato presentato a maggio. «La scelta del digitale è stata necessaria. Anche se io e Dick Pope siamo appassionati sostenitori della pellicola. Anzi, abbiamo sventolato la bandiera del 35 mm. Però siamo uomini del XX secolo: i laboratori stanno chiudendo, la pellicola vergine non si trova più e le cineprese digitali si sono prestate bene al nostro lavoro», argomenta l'artista. «Il mio Turner preferito? È il quadro Annibale e il suo esercito : qui esercito ed elefanti quasi scompaiono, a sottolineare la vanagloria dell'elemento umano».

Un elemento che, data la recitazione carnale di Spall, sempre intento a digrignare i denti, le guance rubizze dell'avvinazzato e l'aria balorda, emerge con prepotenza.

Quanto più il pittore visionario del Sublime sperimenta l'Infinito con un semplice tocco di pennello, dicendo «la luce è Dio», tanto più le sue feroci performances sessuali contrastano con i suoi sogni «alla Turner». «Il film è su questa dialettica: tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere», conclude Leigh.

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