Marco Mengoni basta sentirlo. Cantare, certo. E anche parlare in pubblico, come ha fatto ieri all'Accademia di Brera mentre alle sue spalle quattro giovanissimi action painters ridisegnavano con spary e pennelli il suo profilo sulle tele. Presentava il nuovo disco, che si intitola #prontoacorrere, proprio così, con l'hashtag davanti perché «il mio pubblico è molto attento al web e quindi anche a Twitter». E lo ha spiegato a modo suo, con parole vaghe perché Mengoni è fatto così: lui parla con le proprie canzoni, per le quali ha una cura maniacale d'altri tempi. In fondo, qualche settimana fa, pochi minuti dopo aver vinto il Festival di Sanremo, ancora inebetito dalla gioia, ha detto senza troppi giri di parole: «Domani torno in studio di registrazione, ho un sacco di coase ancora da fare». Proprio così.
Allora Mengoni era così urgente tornare in studio dopo aver vinto il Festival?
«Beh Sanremo per me è stata un'esperienza eccezionale anche perché il pubblico ha reagito benissimo».
Dopotutto da allora il brano L'essenziale è fisso al primo posto su iTunes.
«Non piace solo al mio pubblico fedele. Ma a tanti altri».
Ed è già multiplatino, è il più tramesso dalle radio e il video ha guadagnato ben otto milioni di visualizzazioni su Vevo. Sono dati, non è piaggeria.
«Perciò dopo aver vinto il Festival di Sanremo voglio viaggiare alla stessa velocità di questo progetto».
Ecco, la sensazione di inadeguatezza è una costante (bella ma dolorosa) di Marco Mengoni. Da X Factor in avanti, ha riversato la sua insicurezza sulla voce, modulandola, estendendola, arzigogolandola a dismisura quasi a trovare conferme della propria bravura, arrabbiatissimo oltretutto di essere considerato solo un interprete e non un autore tout court. All'Ariston si è capito che Marco Mengoni è cresciuto. E #prontoacorrere lo conferma: è più essenziale, asciutto nonostante brani firmati da autori super come Nannini (Bellissimo, scritto con Pacifico), Cremonini (La valle dei re) o addirittura Fossati (Spari nel deserto). Stavolta è lui a fare la differenza, a dimostrazione che il talento decolla solo se c'è la passione a tutti i costi. Come qui.
«Rimango il Marco di prima. Ma di certo l'anno scorso mi ha aiutato cambiare tutta la mia squadra a parte la casa discografica Sony. Avevo voglia di confrontarmi con altre persone».
Ad esempio Fossati.
«Mi ha invitato al suo ultimo concerto. Poi mi ha chiamato per dirmi: Ciao Marco, sono Ivano e ho scritto un brano per te. L'ho ascoltato e l'ho fatto mio».
Lui è la vecchia guardia, Cremonini è la nuova.
«È eccezionale, un bel pazzo, un uomo libero che ha il dono di condensare in un solo verso ciò che io impiego una quaresima a riassumere».
Sì però la canzone che dà il titolo al disco è firmata da lei e da Mark Owen dei Take That.
«Credo che lui sia il miglior autore di canzoni dei Take That. Su questo brano ho lavorato tantissimo ma ne sono pazzamente soddisfatto».
Lei usa tanti superlativi, segno di una sensibilità accentuata.
«In fondo sono qui all'Accademia di Brera perché ho fatto una scuola d'arte, sono entusiasta e pieno di immaginazione. Ma per scrivere una canzone, prima disegno e poi riesco a scrivere il testo. Mi viene più facile».
Però la lingua è locale. Le figure sono universali. Magari questo disco potrebbe essere pubblicato anche in inglese. O in spagnolo.
«Non posso dire nulla».
Quindi sarà così. Intanto a maggio le toccherà rappresentare l'Italia all'Eurovision Song Contest, il vecchio Eurofestival.
«E canterò L'essenziale tutto in italiano. Sono lì a rappresentare l'Italia, perché aggiungere versi in inglese?».
Chi crede nella canzone che canta non lo farebbe.
«Appunto. So di avere corde vocali molto fini e una bella mobilità vocale.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.