La sua presenza alla Mostra la dedica alle zie: «Sono state le prime che mi hanno portato al cinema. Sono onorato di aprire le danze del primo grande festival di un tempo imprevisto, perché una cosa è vedere un film, un'altra è andare al cinema». Parole di Daniele Luchetti il quale (prima volta dopo 11 anni per un italiano) con Lacci apre un'edizione già storica della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica anche perché, sottolinea con la mascherina ben salda sul volto, «si può certo fare tutto on line ma solo insieme e in una sala, vediamo un film».
E che film. Tratto dall'omonimo romanzo di Domenico Starnone, sceneggiato dal regista con Francesco Piccolo, Lacci è una complessa e dolorosa approssimazione al dolore e alla perdita di senso di un'intera vita quando qualcosa si spezza in un rapporto amoroso. «La verità - spiega il regista - è che la trama è in qualche modo esiziale, succede tutto all'inizio: una coppia si separa, stop. Ma è anche l'aspetto interessante del film, composto quasi solo da azioni e da sentimenti, dove nessuna scena ha il dovere di raccontare la trama. Oltretutto gli attori così sono più coinvolti perché amano far provare le emozioni, più che raccontarle». Il cast di Lacci potrebbe sembrare quello, in qualche modo scontato, di un certo cinema italiano ma, a fare la differenza, è invece come ci gioca il regista.
Ecco allora che per raccontare, nella Napoli dei primi anni Ottanta, la crisi del matrimonio tra Vanda e Aldo che si innamora della giovane Lidia, Luchetti sceglie il tandem Alba Rohrwacher e Luigi Lo Cascio con la terza incomoda interpretata da Linda Caridi, una delle nostre attrici più talentuose che finalmente il cinema, dopo Antonia di Ferdinando Cito Filomarino e Ricordi? di Valerio Mieli, sta iniziando a valorizzare. Si dà il caso però che, per raccontare la stessa coppia trent'anni dopo, Luchetti abbia deciso di affidarsi ad altri due attori, Silvio Orlando e Laura Morante: «Non mi interessava la somiglianza fisica perché ho fiducia nel pubblico che crede a ciò che stai raccontando. Quando dicevo in giro che Laura Morante interpretava Alba Rohrwacher qualche anno dopo mi prendevano per pazzo. Ma, dopo un primo, naturale smarrimento, è lo spettatore a fare tutto il lavoro». Anche Laura Morante ha trovato questa scelta intelligente perché «un film deve essere autentico, non verosimigliante, più che la somiglianza fisica conta il fatto che tra noi interpreti ci siamo accordati come musicisti».
Per interpretare i figli della coppia da grandi, Luchetti ha scelto due complici di una memorabile sequenza finale, Giovanna Mezzogiorno e Adriano Giannini che racconta qualcosa di più del particolare e nuovo metodo registico di Luchetti: «Potrebbe sembrare ostico e complicato ma è un gioco stimolante. Lui fa provare e riprovare le scene, non per avvicinarsi alla perfezione di una performance ma per cercare sempre qualcosa d'altro che poi deciderà se inserire o meno nel film». Anche Linda Caridi, l'amante del protagonista («Diventa una primavera di leggerezza per Aldo»), concorda sul funzionamento del metodo Luchetti: «Il dialogo tra i due personaggi lo abbiamo provato per due giorni, ma io ero tranquilla perché Lidia è una donna, l'unica nella storia, risolta e centrata rispetto agli altri, logorati dal riscontro negativo dei lacci del titolo: chissà se esistono nella vita lacci che ci tengono legati, impedendoci di inciampare».
Lacci, che ieri è stato proiettato in più di 100 sale insieme a un'inedita diretta della serata di apertura della Mostra di Venezia, uscirà poi nei cinema l'1 ottobre, e segna anche un esempio di equilibrio ricercato nel cinema dallo stesso Luchetti il quale, per raccontare una storia che segue trent'anni di vita dei personaggi, sceglie soluzioni di regia affatto scontate.
Come per due delle sequenze più importanti quando, ad esempio, non sentiamo che cosa urla Alba Rohrwacher che va a trovare Luigi Lo Cascio a Roma nello studio radiofonico della Rai. Sempre in viale Mazzini, Vanda prende quasi a calci Lidia vista a braccetto con Aldo. Il punto di vista qui è quello dei due bambini lasciati dentro l'auto.
Una sequenza che è, spiega il regista, «un'improvvisazione totale, una scena non prevista e non scritta in sceneggiatura», mentre per il litigio alla radio «volevo che fosse sterile, una scena agghiacciante, quasi raggelante, per cui volevo che fosse priva di suono e senza i rumori di fondo».
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